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Comunicare se stessi sui social network. Cosa ci dice la psicologia

Gli studi della psicologia dei nuovi media ci aiutano a comprendere quanto sveliamo di noi stessi quando utilizziamo i social network.

Fare un post su Facebook, pubblicare una video-storia su Instagram, rispondere ad un commento in direct; queste sono solo alcune delle attività che possiamo svolgere sui social network. Vediamo insieme alcuni aspetti importanti di queste azioni social(i).

1. Non si può non comunicare

Come diceva Aristotele, l’essere umano è per natura un animale sociale.

Tutti noi, attraverso una serie di segnali che si sono sviluppati ed evoluti nel corso dei secoli, siamo in relazione costante con gli altri esseri viventi e con l’ambiente circostante.

La funzione primaria che ci permette tale connessione con gli altri è la comunicazione.

Per comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) si intende il processo e le modalità di trasmissione di un’informazione da un individuo a un altro (o da un luogo a un altro), attraverso lo scambio di un messaggio elaborato 📣 secondo le regole di un determinato codice.

Comunicare significa mettere qualcosa di noi in comune con l’altro fuori da noi.

2. L’avvento delle nuove tecnologie

Questo nostro istinto a comunicare per poter costruire e mantenere le relazioni con il mondo esterno ci ha portato a costruire nuove tecnologie  in grado di amplificare a dismisura le nostre capacità comunicative.

Le tecnologie per la comunicazione sono definite ICT, ovvero tecnologie informative e comunicative. Tecnologie che conquistano ogni giorno nuovi utenti e si espandono a un ritmo davvero impressionante.

Grazie agli smartphone, ai personal computer e ai social media, ovvero le tecnologie per la realizzazione dei social network, le possibilità comunicative degli esseri umani si sono amplificate in maniera esorbitante nel giro di un solo decennio.

L’interazione con i nuovi media è divenuta così una parte centrale della nostra esperienza quotidiana, che ci assorbe per diverse ore della giornata.

I fenomeni più vistosi correlati all’uso dei social network sono l’incremento eccezionale del numero di connessioni tra gli utenti 🔗 e della quantità di informazioni scambiate.

Oltre che una crescita in termini quantitativi della comunicazione, i nuovi media hanno modificato e continuano a modificare anche il nostro modo di comunicare in termini qualitativi.

“Negli ultimi anni nell’ambito degli studi psicologici si è sviluppata una nuova disciplina: la psicologia dei nuovi media.

Punto di incontro tra scienze umane e nuove tecnologie, questa disciplina ha come oggetto la comprensione, la previsione e l’attivazione dei processi di cambiamento individuali e sociali che scaturiscono dall’interazione con i media digitali, tra cui i social network”

Secondo la psicologia, nell’atto di comunicare sui social network sono implicati degli aspetti identitari – ogni post o commento è specchio della nostra identità – e degli aspetti simbolici – ogni azione vuole rappresentare, ovvero stare al posto di, un altro messaggio.

3. Aspetti identitari – Cosa i social network dicono di noi

Oggi, grazie ai social network, sappiamo molto di più delle persone con cui interagiamo. I social network sono infatti delle piattaforme che consentono all’utente di narrarsi e gestire così la propria identità sociale.

L’identità sociale viene definita dalla psicologia sociale come la consapevolezza delle caratteristiche dei gruppi sociali di riferimento Busts in Silhouette on Twitter di cui l’individuo fa parte.

Il risultato è una gerarchia di appartenenze, la cui identificazione cambia a seconda della situazione in cui ci troviamo. Per cui siamo genitori quando andiamo a scuola a prendere i figli, siamo amici quando andiamo a vedere una partita al bar e siamo lavoratori quando entriamo la mattina in ufficio.

L’utilizzo dei social network e la scelta di che cosa pubblicare su ciascuno di essi è una forma avanzata di gestione della propria identità sociale, che ci permette di decidere come presentarci alle persone che compongono la nostra rete.

Riusciamo così a far emergere all’interno dei diversi profili gli elementi che più ci

caratterizzano.

La psicologa americana Katelyn McKenna ha dimostrato come le persone siano più disposte

a rivelare il proprio vero sé sui social network di quanto non lo siano nella vita reale (clicca qui per approfondire la sua ricerca).

Altri studi dimostrano invece che quando narriamo il nostro sé online tendiamo a raccontare più il

nostro sé ideale, ovvero come vorremmo essere percepiti dagli altri, che il nostro sé reale e attuale.

In entrambi i casi, quando pubblichiamo qualcosa sui social network facciamo un atto che non solo riflette la nostra identità, ma riesce a dare forma all’identità, influenzando la percezione degli altri su di noi.

4. Aspetti simbolici – Quello che sembra è

Sui social network abbiamo il controllo nel definire noi stessi, non lasciando agli altri questo potere.

Ciò li rende lo strumento ideale per narrarci e presentarci agli altri, decidendo in prima persona quali ruoli e quali eventi presentare, in modo che ci rappresentino nel modo in cui vogliamo essere percepiti.

Nei social network gli utenti possono organizzare la propria presentazione in maniera strategica per trasmettere una precisa immagine di sé.

Per esempio, per attirare l’attenzione dell’amica di Pietro che ama la musica jazz posso decidere di pubblicare in modo simbolico una foto mentre sono in un club jazz, così da comunicare di essere una persona appassionata di musica jazz.

Questo è alla base delle cosiddette attività di personal branding 🧑‍🎨 ovvero di promozione di se stessi e della propria reputazione, che modificano il nostro status all’interno della nostra rete.

Dobbiamo ricordarci che sui social network quello che viene visto viene interpretato come vero.

Pubblicando in modo costante foto di bei piatti cucinati, gli altri penseranno di noi che siamo dei bravi cuochi. Se facciamo un’invettiva contro qualcuno, la nostra rete penserà di noi che siamo persone polemiche. Se ci mostriamo sempre felici, gli altri penseranno che abbiamo una vita fantastica e senza problemi.

Sui social network il potere delle percezioni che gli altri hanno di noi è completamente nelle nostre mani.

Per questo in psicologia si dice che i social network possono essere considerati degli strumenti di empowerment personale 💪 cioè di consapevolezza e controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni di mostrarsi agli altri con una precisa immagine.

Articolo a cura di Simona Toni, esperta in psicologia della comunicazione e del marketing

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Smart working e Covid-19: quando la tecnologia diventa fonte di stress

La recente crisi sanitaria legata al coronavirus ha portato, soprattutto durante la cosiddetta Fase 1, ad un forte incremento del lavoro da remoto, detto anche smart working. Come contrastare lo stress causato dalla tecnologia?

 

tecnostress

 

Lavorare da remoto ha rappresentato una risposta chiave che ha permesso a molti di noi di fronteggiare l’emergenza e continuare le nostre attività in una situazione di maggiore sicurezza. In questo modo lo smart working ha salvaguardato la salute nostra e delle nostre aziende.

Se guardiamo l’altra faccia della medaglia, ci rendiamo però conto che, la stessa tecnologia che ci è d’aiuto, può rappresentare anche una potenziale fonte di stress.

Pensiamo infatti a Lucia. Lavorava da dodici anni nella stessa azienda che oramai è una seconda casa con i sui riti quotidiani.

Ogni mattina passa a salutare Anna dell’ufficio accanto prima di cominciare a lavorare, prende il caffè al solito bar, ha sulla sua scrivania il quaderno con le note di lavoro.

Ora tutto questo è stato stravolto. Lucia è in smart working: non solo dovrà rinunciare a quelle abitudini, ma dovrà anche imparare a lavorare in modo diverso.

Troppe cose nuove che vanno imparate e utilizzate subito perché ora sono diventate di colpo indispensabili. Per fortuna c’è Anna, che ormai passa le sue giornate online, e le sta dando una mano con le videochiamate.

Lucia però è stanca, ansiosa e ha costantemente paura di sbagliare ad usare queste nuove tecnologie che le stanno togliendo il sonno. Lucia è stressata o meglio tecnostressata.

Smart working e tecnostress

Con tecnostress intendiamo lo stress dovuto all’utilizzo della tecnologia.

Nello specifico possiamo individuare tre componenti principali che possono manifestarsi da sole o congiuntamente:

  • Techno-anxiety: l’utilizzo di computer o altri strumenti tecnologici (ICT) generano paura, agitazione, apprensione e incertezza.
  • Techno-addiction: legata a doppio filo alla dipendenza dal lavoro chiamata workaholism, si tratta di un’impossibilità di “staccarsi” da strumenti digitali lavorativi rimanendo costantemente connessi e continuando a lavorare anche al di fuori dell’orario lavorativo.
  • Techno-strain: deriva dall’utilizzo di tecnologie nuove e non conosciute dalla persona, crea disorientamento e stress.

Ritorniamo ora al caso di Lucia; possiamo vedere come per lei il tecnostress si sia manifestato sotto forma di techno-anxiety e di techno-strain.

La situazione straordinaria che siamo chiamati a vivere ha costretto inevitabilmente molte persone a confrontarsi con l’uso di tecnologie nuove e poco conosciute che favoriscono l’insorgere di queste problematiche nello smart working.

Ci sono, però, anche persone come Anna che si sono adattate meglio a questa situazione, ma che ora rischiano di cadere nella techno-addiction a causa, ad esempio, della mancanza della sosta alla macchinetta del caffè e del pranzo con i colleghi.

Come contrastare lo stress?

Certamente l’essere consapevoli che un simile pericolo esiste e approfondire il tema è importante. Ma cosa si può fare in pratica per evitare eccesso di stress o effetti di dipendenza in smart working?

TECNOLOGIA POSITIVA

Un aiuto importante può venire dalle aziende: esse infatti possono lavorare per fornire ai propri dipendenti quella che viene chiamata Tecnologia Positiva. Si tratta di strumenti tecnologici con al centro l’esperienza dell’utente, le sue abilità e il suo benessere.

FORMAZIONE

Un’altra possibile leva di supporto è rappresentata dalla formazione all’utilizzo delle nuove tecnologie. Grazie a percorsi formativi mirati è possibile accompagnare le persone e migliorarne le capacità e la sicurezza così da diminuire la techno-anxiety e il techno-strain.

In una situazione anomala come quella che stiamo vivendo poi è possibile che la formazione non sia stata effettuata tempestivamente. C’è sempre tempo però per recuperare, come nel caso di Lucia che, attraverso la formazione, può ricevere un valido supporto per affrontare questo momento di cambiamento.

RISPETTO DI REGOLE CONDIVISE

Un ultimo passaggio molto importante, soprattutto per contrastare la techno-addiction, è la creazione e il rispetto di regole condivise  in azienda riguardo al come e al quando utilizzare gli strumenti tecnologici al lavoro.

Un semplice ma efficace punto di partenza può essere quello di rivedere le abitudini di comunicazione: ad esempio, evitare di inviare mail dopo una certa ora o la domenica.

Queste regole sono valide tanto in questo periodo di emergenza quanto più in generale. È importante infatti stabilire delle regole di gestione dello smartworking in modo da ri-assumere il controllo della nostra vita lavorativa e professionale e mettere a punto un modo di lavorare nuovo e sostenibile per i prossimi anni.

 

Articolo a cura di Claudio Reina, esperto in psicologia del lavoro