5 strumenti per la relazione con figli adolescenti

Il tema dell’adolescenza e di tutti i cambiamenti fisici, emotivi, psicologici e relazionali che porta con sé è di grande interesse, in particolare in questo articolo ci concentreremo sul ruolo che gli adulti possono avere nella crescita dell’adolescente e nell’instaurare con lui una relazione di fiducia e ascolto reciproco. In questo articolo scoprirai 5 strumenti per entrare in relazione con figli adolescenti.

Per cominciare, ecco alcune delle frasi che i ragazzi adolescenti talvolta rivolgono ai loro genitori:

“Loro ti comandano, sempre…ma se invece cercassero di capire? Non ne posso più di sentire sempre ordini, non sono un robot! E poi non si riesce a vivere con chi pensa di avere tutta la ragione dalla sua parte…”

“I miei genitori mi sembrano sempre tristi, arrabbiati con tutti.. e poi tra di loro mai una parola affettuosa.. ma cosa c’è nella loro testa? Ti dicono di fare, riuscire, impegnarsi, non distrarsi.. non vorrei che fossero così duri nelle loro direttive.. Mah, non ci capisco niente!

Sono frasi forti, intense, cariche di emozioni. I genitori ne rimangono spesso sorpresi e si interrogano su quello che i loro figli stanno vivendo. 

 

Adolescenza: cos’è?

Nella letteratura psicologica sono state date varie definizioni di adolescenza: ciascuna ha posto  l’attenzione su aspetti diversi, ma tutte concordano sull’idea che sia una fase di passaggio dall’infanzia verso l’età adulta, durante la quale i ragazzi attraversano numerosi cambiamenti nel corpo e nella mente, acquisiscono nuovi ruoli e responsabilità e si trovano a dover costruire una propria identità.

Questi cambiamenti sono:

1️⃣ FISICI: ne sono un esempio la crescita fisica, la comparsa dei caratteri sessuali secondari come il seno per le ragazze e la barba per i ragazzi e la maturazione degli apparati genitali.

2️⃣ EMOTIVI/PSICOLOGICI, rappresentati principalmente dalla presenza di emozioni intense e da un processo di ridefinizione dei propri valori.

3️⃣ SOCIALI, caratterizzati dall’emergere del gruppo dei pari come punto di riferimento e dalla progressiva individuazione rispetto alle figure adulte.

Compiti di sviluppo e bisogni

Nel suo significato etimologico la parola adolescenza deriva dalla parola latina “adolescens” che significa “che si sta nutrendo”. Dunque l’adolescente è colui che sta crescendo e ancora non ha concluso il processo di costruzione della propria identità. 

Ma in cosa consiste questa crescita?

Gli aspetti da considerare sono molteplici, tanto che alcuni autori hanno individuato precisi compiti di sviluppo che gli adolescenti si trovano a dover affrontare. 

Un importante teorico dello sviluppo, Havighurst, è stato il primo a parlare di precisi compiti che l’adolescente deve affrontare in quella specifica fase evolutiva, tra i principali:

  • Mentalizzare un corpo sessuato: ovvero fare i conti con un corpo che cambia, si sviluppa e quindi con un’immagine nuova di sé.
  • Acquisire indipendenza emotiva dai genitori: sempre più l’adolescente avvertirà il bisogno di distinguersi dai genitori costituendo un’identità propria, pur mantenendo ancora il bisogno di sicurezza che lo ha caratterizzato nelle fasi precedenti.
  • Fare i conti con nuove emozioni, vissuti e trovare un proprio sistema di valori: in questa fase evolutiva l’adolescente vive in modo intenso emozioni come la rabbia, la tristezza, la gioia, sperimentando in modo inedito alcuni vissuti come la vergogna. Tutto ciò caratterizza un periodo di crescita psicologica in cui l’adolescente rivaluta i valori familiari e sociali per scegliere quali vivere come propri. 
  • Nascere a livello sociale: ovvero affrontare importanti cambiamenti sociali ed educativi, come l’ingresso alla scuola secondaria di primo grado o il confronto con il gruppo dei pari.

L’adolescente viene spesso associato, nell’immaginario comune, a parole come “ribelle” o “limiti”. Certamente attraversa una fase critica ma preferiamo promuovere una visione dell’adolescente come portatore di bisogni personali sempre più importanti e complessi. Per sviluppare la relazione con figli adolescenti in modo positivo, è importante conoscerli ed esplorarli insieme a loro.

Tra i più importanti troviamo:

  • autonomia
  • sicurezza
  • riconoscimento, da parte degli adulti di riferimento così come dei pari
  • sperimentare
  • essere accettato
  • essere ascoltato
  • appartenere al gruppo
  • trasgredire
  • comunicare
  • amare ed essere amato

Alla scoperta di sé e dell’altro nella relazione

Parlare però di adolescenza senza citare il ruolo della famiglia e il difficile compito a cui è chiamata è probabilmente riduttivo: l’adolescenza implica necessariamente entrare in relazione, in cui riveste un ruolo importante lo sguardo che l’adulto (genitore, docente, allenatore che sia) ha sul ragazzo e come si pone di fronte ai  cambiamenti e alle emozioni che ne animano la vita.

Capita spesso che i ragazzi provino emozioni “scomode” quali: rabbia, tristezza, ansia, noia. Gestirle non è semplice e un ruolo cruciale in questo è giocato anche da come gli adulti si pongono: accogliendole, ascoltandole, legittimandole oppure no. 

È proprio in questa accoglienza dei loro bisogni e delle loro emozioni che si gioca la relazione con i nostri ragazzi! Curare questi aspetti per entrare in relazione con figli adolescenti permette di essere delle figure di supporto in questa fase di crescita.

 

5 Strumenti per entrare in relazione con figli adolescenti

Noi adulti come possiamo porci nella relazione con i ragazzi? Ecco alcuni consigli.

ASCOLTO e DIALOGO: aspetto fondamentale è creare dialogo. Dando spazio all’ascolto possiamo metterci in discussione, metterci nei panni l’uno dell’altro, senza agire d’impulso per fretta, senso di colpa o senso del dovere. L’ascolto attivo è già uno strumento importantissimo nella relazione, ancor prima delle risposte o parole che rivolgiamo ai nostri adolescenti. 

RICONOSCERE, ACCETTARE E TOLLERARE LE EMOZIONI: aiutare l’adolescente a mettere a fuoco cosa prova. L’adulto può sostenerlo nel riconoscere, accettare e imparare a tollerare le emozioni più intense. Un elemento fondamentale per raggiungere questo obiettivo è avere uno sguardo empatico, per far sviluppare tale capacità anche nell’adolescente.

PROGETTUALITÀ: con gli adolescenti non si può tessere un dialogo senza trattare l’aspetto del desiderio, di ciò che a loro vorrebbero fare o realizzare. Aiutatrli a prendere consapevolezza di sé, per coltivare le proprie passioni e dar vita ai loro obiettivi futuri. 

“PORTO SICURO”: ovvero rimandare all’adolescente che accogliamo le sue emozioni, le sue esperienze, le sue sfide. Gli adulti rimangono quel “porto sicuro” in cui l’adolescente può approdare quando è in difficoltà, così come quando sente il bisogno di sicurezza e di vicinanza da chi gli vuole bene.

FARE IL TIFO: è importante che ogni adulto di riferimento trasmetta un senso di fiducia all’adolescente, nelle sue capacità e in tutto ciò che deciderà di sperimentare. 

 

Articolo di Elisa Casada e Laura Garavaglia, psicologhe esperte in relazioni familiari.

6 campanelli d’allarme per valutare se vivi un rapporto nocivo

Il rapper Marracash racconta, nelle interviste a “L’assedio” e a “Noisey Italia”, di aver vissuto una relazione tossica per un anno e mezzo con una ragazza e di essersi poi rivolto ad un Psicologo per affrontare la sua sofferenza. Ma cosa vuol dire vivere una “relazione tossica”?

Certamente non bisogna essere un rapper famoso per rischiare di inciampare in relazioni tossiche. Ognuno di noi può ritrovarcisi dentro, per un momento di fragilità personale, per solitudine o per un particolare incastro relazionale con l’altro.

Esistono relazioni di coppia:

  • con manifestazioni eclatanti, attivo-aggressive, come quella descritta da Marracash
  • con manifestazioni più silenti, passive, con movimenti interpersonali più difficili da riconoscere a prima vista

A tal proposito, occorre segnalare che esistono due tipi di violenze:

  • FISICHE: con atti di aggressività perpetrati contro il corpo dell’altro, che lasciano segni evidenti e visibili sulla pelle
  • PSICOLOGICHE: con atti di aggressività perpetrati contro la mente, che lasciano segni e solchi emotivi molto profondi

Ecco 6 campanelli d’allarme per capire se rischi di vivere in una relazione tossica.

1️⃣ Violenza: vivi situazioni di aggressività attiva o passiva, fisica o psicologica

2️⃣ Controllo: ti senti controllato/a e non libero/a di essere te stesso/a

3️⃣ Instabilità: la tua relazione è molto intensa e costantemente variabile

4️⃣ Oscillazione: nella tua coppia si passa velocemente dall’idealizzazione all’svalutazione dell’altro, da un atteggiamento estremamente bisognoso al rifiuto

5️⃣ Vittimismo: se il/la partner si atteggia spesso a vittima e ti fa sentire in colpa anche quando non hai la percezione di aver commesso errori

6️⃣ Proiezione: ti senti accusata/o di qualcosa che non senti tuo, che percepisci non ti appartenga. In questo caso uno dei partner mette in atto meccanismi di proiezione attribuendo all’altro aspetti di sé che non si accettano come propri

Cosa fare, dunque, in questi casi?

Non ricorrere ad agiti (azioni non pensate), ma rifletti sulla tua situazione personale e di coppia. Poniti delle domande su di te, sull’altro e sulla vostra storia e attiva una comunicazione verso il partner, verbalizzando i tuoi vissuti all’altro.

Non sentirti in colpa per aver vissuto in una relazione che si è verificata per te dannosa e inautentica, non sentirti “stupido/a” per aver creduto a qualcosa che poi si è rivelato fasullo. Infatti, quando si è coinvolti in una relazione di coppia non si ha sempre la capacità di vederci chiaro, nitido, limpido, anzi, soprattutto nelle relazioni tossiche, il clima è confusivo, caotico e fumoso.

✅ Se hai la percezione di non vederci chiaro e di non stare bene in relazione, puoi chiedere aiuto ad un professionista, psicologo e/o psicoterapeuta, per rendere meno fumosa la sensazione del vivere in coppia. Ricorda che i panni sporchi NON si lavano necessariamente in casa propria. Come infatti le lavanderie si adoperano per sistemare e gestire i capi più difficili e delicati, esistono professionisti che si occupano di questioni personali-emotivo-affettive complesse, fragili e bisognose di aiuto.

Articolo a cura di Michela Benini, psicologa clinica e della salute

4 modi per mantenere il cervello attivo e sano

Tutti sappiamo che per migliorare la salute del nostro corpo, dobbiamo fare esercizio fisico. Ma sapevi che è possibile allenare anche il nostro cervello e mantenerlo attivo? In questo articolo troverai dei consigli utili per capire come riuscirci.

Quando ho letto il libro di Wendy Suzuki “Happy Brain” ricordo la sensazione che ho provato già scorrendo le prime pagine.

Ero colpita dalla leggerezza e dalla semplicità del racconto, diretto e realistico nonostante la complessità del tema trattato: il cervello umano e i suoi segreti.

Senza dubbio questo libro ha suscitato in me un enorme interesse verso il concetto di cervello attivo, flessibile ed elastico.

In altre parole, grazie a lui, ho iniziato ad amare i bei cervelli.

Wendy e il “bel” cervello

👧🏻 Ma chi è Wendy?

È una ricercatrice di neuroscienze con una carriera brillante e ricca di soddisfazioni, ma nonostante questo non si può dire che sia una persona pienamente felice. 

Sveglia, però, sì. Senza dubbio. Wendy infatti capisce che qualcosa non va nella sua esistenza e decide di fare un esperimento su se stessa.  

Inizia a “studiarsi” mentre compie piccole e graduali modifiche nelle sue abitudini di vita come, ad esempio, praticare attività fisica regolarmente, adottare un regime alimentare più equilibrato, cambiare strada per andare al lavoro senza usare il gps.

Inizia quindi a fare certe cose con modalità diverse rispetto a come aveva fatto nei suoi precedenti 40 anni.

Al contempo Wendy inizia a studiare il proprio cervello, con strumenti di neuroscienze che permettono di vedere e mappare che cosa accade ai suoi neuroni e alle sue aree cerebrali.

Tutto procede normalmente fino a quando, ad un certo punto, scopre che in pochi mesi non erano cambiate solamente la sua vita e le sue abitudini, ma anche a livello celebrale si stavano attivando intere aree fino a quel momento inutilizzate. 

Le strutture e le connessioni tra i vari neuroni stavano cambiando, modificando l’architettura generale del cervello e rendendolo più bello e flessibile. 

💪 Metaforicamente potremmo dire che lo stava allenando proprio come si fa con un muscolo qualsiasi, e con benefici sorprendenti.

Un cervello con più memoria e creatività

Ma non è tutto.

Scopre addirittura che si sente più energica, la sua memoria migliora, si sente più creativa, efficace e rapida sia nel lavoro che nella vita privata. 

Anche a livello sociale diventa più “attraente” agli occhi degli altri, più desiderata. Possibile?

Le ragioni biochimiche spiegano il perché di tutto ciò. 

E proprio attraverso il suo libro e la sua storia, Wendy ci racconta come questo sia possibile per ciascuno di noi, attraverso un percorso facile e valido per tutti, arricchito da consigli pratici per migliorare le nostre capacità cognitive e di apprendimento mantenendo il cervello attivo.

Ma perchè dovrei allenare il mio cervello?

Da Wendy impariamo che tutto questo si può fare con attività semplici e anche divertenti. Ma perché dovresti farlo? Che vantaggi ci sono?

➡️  Il mondo cambia rapidamente e richiede nuove abilità mentali vitali per pensare, imparare ed essere creativi. Che tu sia un adolescente, un adulto o nella terza età, più flessibile sei, meglio stai nel mondo.

➡️  Se il tuo cervello lavora meglio oggi, avrai dei benefici anche nel futuro. Mantenendolo in forma, rallentano infatti anche gli effetti naturali dell’invecchiamento celebrale che tutti noi ci troviamo prima o poi ad affrontare. 

➡️  Se rendi il tuo cervello più flessibile sarà anche più veloce nel risolvere problemi, avrai un raggio “mentale” aumentato. Avrai una marcia in più per competere con gli altri perché penserai fuori dagli schemi. 

Quindi come ringiovanire e mantenere il cervello attivo?

Come riportano Wendy nel suo libro e  André Vermeulen nel suo  ecco 4 abitudini quotidiane per allenare il cervello a qualsiasi età (avete letto bene, a qualsiasi età!!):

✔️ ESERCIZIO FISICO: attiva il cervello mantenendolo in forma e integrato. Non è necessario fare la maratona di New York, ciò che conta è la costanza. Anche una passeggiata di 30 minuti ogni giorno ha effetti strabilianti. Ecco qui un video della nostra Wendy che sicuramente ti spronerà a muoverti da oggi.

✔️ ESERCIZI MENTALI:  impara qualcosa di nuovo, come un gioco da tavolo o di carte, una strada diversa per andare a scuola, al lavoro, oppure al tuo ristorante preferito, suonare uno strumento. O ancora leggere qualcosa di diverso dal tuo ambito o dalle tue passioni, studiare, meditare.

✔️ CAMBIARE: cambia il tuo ristorante preferito, cambia il posto a tavola, cambia visuale. Cambiare fa bene al cervello. Non fare sempre le stesse cose  solo perché ti fa sentire sicuro.  Con quel “sicuro” invecchi!

✔️ FAI ESPERIENZE DIVERSE: prova a riconoscere degli oggetti ad occhi chiusi toccandoli solo con le mani. In questo modo il cervello sarà costretto a fare tantissime operazioni mentali insolite rispetto a quando sei semplicemente impegnato a guardare un oggetto.

Ma anche fare la doccia ad occhi chiusi, assicurandoti che shampoo e bagnoschiuma siano in zone diverse. Oppure prendere degli oggetti di uso comune e osservarli attentamente dopo averli messi al contrario.

Puoi anche pensare di “copiarli” a mano, così come li vedi girati. Così guarderai le cose da un altro punto di vista…in tutti i sensi. Insomma sperimenta, prova, divertiti. 

E come dice Wendy:

“.. Non sono trucchi ma scienza, perché i meccanismi che regolano la connessione corpo-cervello sono universali e comprovati: basta una scintilla per innescare una reazione.”

 

Articolo a cura di Sarah Noemi Bonomi, psicologa del benessere

gestire la rabbia

7 Consigli per imparare a gestire la rabbia

Una corretta gestione della rabbia può aiutarci a migliorare sensibilmente la nostra qualità della vita. In questo articolo scopriamo come riuscirci. 

😠 La rabbia è una delle sette emozioni di base dell’uomo. Serve a segnalare un ostacolo che si pone tra noi ed un obiettivo importante ed è un campanello d’allarme capace di generare una reazione di attacco. 

I modi di reagire a questa emozione sono differenti per ognuno di noi: alcuni la interiorizzano, altri cercano di evitare lo stimolo che provoca rabbia. Altri ancora la sfogano attraverso parole o comportamenti non adatti alla situazione.

Ci sono poi persone che stanno male e pensano costantemente alla situazione che genera rabbia; rimuginando, non fanno che mantenerla sempre viva!

La buona notizia è che se non possiamo cambiare gli eventi, possiamo però imparare a modificare le nostre reazioni ad essi. 

Ecco sette semplici tecniche per cercare di gestire la rabbia. 

1️⃣ Individua i primi segnali

Prima di tutto bisogna imparare ad individuare quelle situazioni in cui la rabbia potrebbe prendere il sopravvento. 

I segnali più comuni sono:

  • costante sensazione di non riuscire a controllarsi
  • avere spesso discussioni animate 
  • sentirsi impazienti
  • trovare irritanti molte persone

2️⃣ Focalizzarsi sulla soluzione

Uno degli errori più comuni è quello di concentrarsi sul problema e non sulle possibili soluzioni.

Ad esempio se il capo assegna un lavoro extra da portare a termine il sabato mattina sarebbe meglio
concentrarsi sul capire come finire al meglio il compito piuttosto che farsi prendere dalla rabbia, non
riuscendo a lavorare bene.

3️⃣ Usare l’ironia

Una sana dose di autoironia può aiutarci ad alleggerire il problema e prevenire gli scatti di rabbia.

Potresti provare anche a “ridicolizzare” la tua reazione sedendoti davanti ad uno specchio e osservandoti mentre ti arrabbi.

Osservarci può  aiutare infatti a comprendere meglio le nostre reazioni; questo esercizio può essere efficace soprattutto quando la rabbia sta montando, per impedire che si inneschi l’escalation.

4️⃣ Rilassarsi e praticare meditazione

Usare delle tecniche di rilassamento per gestire la rabbia proprio magari mentre sta salendo può essere molto efficace per spostare il focus su se stessi.

🏖️Ad esempio potrebbe essere utile  immaginare di trovarsi in uno scenario rilassante, come una spiaggia o un sentiero di montagna, mentre si ripete a sé stessi una sorta di mantra: “va tutto bene, è tutto sotto controllo”.

La pratica dello yoga e l’ascolto di musica tranquillizzante possono avere la stessa efficacia.

5️⃣Fare attività fisica

Per sfogare e gestire la rabbia e svuotare la mente un rimedio molto efficace è lo sport.

🚴 Fare movimento aiuta infatti a scaricare la tensione e a liberare tutta una serie di sostanze chimiche che aiutano a migliorare il nostro umore, come le endorfine, dette anche ormoni del benessere.

Anche una piccola sessione di corsa è in grado di liberare mente e corpo.

6️⃣ Modificare la comunicazione

Un cattivo modo di comunicare può contribuire a generare situazioni potenzialmente esplosive.

Ecco che allora diventa fondamentale imparare ad utilizzare una modalità di comunicazione assertiva, cioè in grado di far esprimere noi stessi e il nostro punto di vista, rispettando allo stesso tempo quello altrui.

Ad esempio potresti riformulare quelle frasi che descrivono le situazioni che ti fanno arrabbiare con “Io” anziché con “Tu”. Evitare di concentrarci sull’esterno e focalizzarci invece su di noi può stimolarci a riflettere e a stemperare la rabbia.

Inoltre potrà essere d’aiuto spiegare alla persona che cosa nel suo comportamento ha suscitato la nostra rabbia. 

7️⃣ Fare delle pause

⏸️ Per ritrovare la serenità a volte basta regalarsi dei brevi momenti di pausa dalle situazioni che vengono percepite come particolarmente stressanti.

Un suggerimento in questi casi può essere quello di svolgere un’attività alla volta e prendersi una piccola pausa tra ognuna di queste per rigenerarsi. 

➤ Articolo a cura di Laura Santinelli, psicologa clinica

felicità

Essere felici ci fa stare meglio?

Da sempre l’uomo è alla ricerca della felicità. Ma che cosa significa essere felici? Quali ricadute può avere sulla nostra salute? In questo articolo proveremo a rispondere a queste domande.

La felicità, o meglio che cosa significhi essere felici, è un concetto molto complesso da definire. Non ci sono ricette che possano considerarsi valide per tutti.

Storicamente, la felicità è stata definita secondo due diverse prospettive: 

1️⃣ quella eudaimonica , che ne fa un orientamento di vita e di azione, di espressione del proprio potenziale;

2️⃣ quella edonistica ,che vede il benessere soggettivo come il risultato del raggiungimento di esperienze piacevoli.

Un’altra visione interessante è quella che definisce il benessere psicologico in sei dimensioni. 

Queste, secondo la teoria di Carol Ryff  sono:

  • autoaccettazione
  • autonomia
  • rapporti positivi con gli altri
  • controllo dell’ambiente
  • crescita personale
  • scopi di vita

🚴Occuparsi del proprio benessere psicologico è importante anche per le ricadute che può avere in termini di salute fisica

Diversi studi in passato hanno già evidenziato come le persone felici godano di una salute cardiovascolare migliore e di un sistema immunitario più pronto.

In particolare, una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Psycholgical Science. ha mostrato la relazione che intercorre  tra una visione “felice” della vita e il benessere fisico.

È stata presentata da Kostantin Kushlev, professore di psicologia presso il Dipartimento di Psicologia dell’università di Georgetown.

(Se volete leggerlo nella versione integrale lo trovate: qui).

I risultati mostrano che aumentare il benessere psicologico in adulti sani porta un beneficio in termini di benessere fisico.

In tal senso, gli interventi psicologici volti a migliorare il benessere psicologico hanno ugualmente effetto sia che siano erogati in presenza che online.

📝 Lo studio di Kushlev e i suoi colleghi

Hanno partecipato 155 adulti in buona salute (età 25-75). 

Questo campione è stato suddiviso in modo casuale in due gruppi: uno di controllo e un altro interessato da un intervento psicologico della durata di 4 mesi.

Da sottolineare che non ci sono stati programmi diretti al potenziamento della salute fisica.

Nello specifico, l’intervento si focalizzava su 3 diverse dimensioni del Sé:

  • Sé nucleare, attraverso cui ci percepiamo come artefici delle nostre azioni
  • Sé esperienziale, il modo in cui percepiamo noi stessi e i nostri vissuti
  • Sé sociale, insieme dei ruoli e delle caratteristiche riconosciute dagli altri

La prima fase

Le prime 3 settimane hanno riguardato il Sé nucleare con lo scopo di individuare:

  • valori personali
  • obiettivi di vita
  • risorse e punti di forza

La seconda fase

In questo segmento dell’intervento i ricercatori hanno impegnato i partecipanti in attività volte a:

  • implementare la propria capacità di regolare le emozioni
  • aumentare la consapevolezza dei propri pensieri e delle proprie emozioni 

In particolare, ci si è concentrati su quelli che potevano essere i modelli di pensiero disfunzionali.

La terza e ultima fase

Infine, l’ultimo step ha previsto un potenziamento del proprio Sé sociale

Come evidenziato da Carol Ryff, infatti. avere un rapporto positivo con le altre persone è fondamentale ai fini del benessere psicologico.

I partecipanti sono stati quindi aiutati ad apprendere strumenti per:

  • coltivare la gratitudine
  • facilitare le interazioni interpersonali positive
  • aumentare il livello di impegno e partecipazione alla vita e al benessere della propria comunità di appartenenza

Corpore sano….in mens sana

I risultati hanno attestato  un aumento del benessere psicologico dei partecipanti allo studio. Se questo dato era in parte prevedibile, si è però riscontrato un altro fenomeno interessante:

una diminuzione dei giorni di malattia sia durante l’intervento sia nei tre mesi successivi alla fine del programma.

Sembra proprio che l’antico detto latino mens sana in corpore sano sia più che mai attuale.

Generalmente si tendono ad enfatizzare la prestanza e la salute fisica. Tuttavia, per raggiungere quest’obiettivo non si può prescindere dalla salute della propria psiche.

Le sedute in palestra e i consulti con il nutrizionista sono sicuramente importanti. Ma a questi andrebbero affiancati anche  tempo e risorse per coltivare la propria felicità.

Fonte: psychcentral 

Articolo a cura di Simone Maggio, psicologo clinico e del marketing

5 consigli pratici per allenare la resilienza di coppia

Chi non ha mai desiderato affrontare come un supereroe invincibile lo stress e le difficoltà quotidiane con il partner? Se ti è capitato almeno una volta, continua a leggere.
Scoprirai come la resilienza di coppia può contribuire al tuo benessere nelle relazioni e 5 consigli pratici per potenziarla fin da subito.

Da decenni la psicologia si occupa delle relazioni più importanti per l’individuo. Siamo esseri sociali, ognuno di noi ricerca continuamente persone a cui legarsi per sentirsi amato ed arricchire la propria vita emotiva.

La coppia rappresenta la relazione intima per eccellenza, che mette a nudo somiglianze e differenze sulla base delle quali i partner si sono scelti a vicenda.

🌱 Cosa rende felice una coppia?

Secondo gli psicologi, la capacità dei partner di affrontare insieme le difficoltà quotidiane e gli eventi stressanti influisce sulla soddisfazione e sul benessere della coppia.

Pensiamo alle esperienze continue di lockdown in cui viviamo da quasi un anno a questa parte. Le difficoltà causate da limitazioni, preoccupazioni e incertezze possono avere pesanti effetti negativi a livello personale (ansia, depressione, confusione mentale, solitudine, malessere fisico…) e di coppia (aumento della conflittualità, diminuzione della comunicazione efficace, stress, separazioni…).

❗ Riflettere su come gestire insieme i problemi offre un’opportunità preziosa per alimentare il benessere personale e di coppia, specialmente in un periodo complesso come quello che stiamo vivendo.

💡 Cosa intendiamo per resilienza?

La capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici e/o inaspettati della propria vita, mobilitando le proprie risorse interiori.

Norman Garmezy

La resilienza è un concetto psicologico di cui si parla molto e che incuriosisce persone di tutte le età.

Essere resilienti significa:

🔹 sapersi riorganizzare di fronte alle difficoltà, ricostruendo i propri pensieri ed emozioni collegati alla situazione vissuta.

🔹 mantenere una certa sensibilità verso noi stessi e l’altro con cui siamo in relazione, ovvero rimanere a contatto con come stiamo noi e come stanno gli altri.

🤝 La resilienza di coppia

Molti esperti di psicologia hanno approfondito il tema del benessere dei partner nella vita di coppia.

📗 Nel loro libro “Vivere in coppia tra alti e bassi”, le psicologhe Silvia Donato e Ariela Pagani parlano della stretta connessione tra benessere, soddisfazione di coppia e resilienza.

Ispirandosi alle numerose ricerche psicologiche su questi argomenti, le autrici spiegano come i partner, condividendo e affrontando sfide e problemi, mettono in gioco la propria resilienza attraverso la capacità di coping diadico. Guy Bodenmann, psicologo esperto di coppie, è stato tra i primi a occuparsi di questo tema. Ecco la sua definizione di coping diadico:

La resilienza di una coppia specifica di fronte a un evento stressante.

Bodenmann individua nelle coppie più soddisfatte e in relazioni durature lo sviluppo di coping diadico positivo, detto comune o supportivo.

🔺 Nel coping diadico comune, entrambi i partner si impegnano nel gestire un evento stressante per la coppia (ad esempio, condividendo pensieri ed emozioni relativi ad esso).

🔺Nel coping diadico supportivo, il partner che si sente più “equipaggiato” aiuta l’altro quando quest’ultimo si trova in una particolare situazione di stress.

Gli stili di coping diadico positivo promuovono il benessere nella relazione di coppia. Questo accade perché percepiamo noi e il nostro partner come una squadra vincente e unita di fronte alle difficoltà.

Al contrario, esistono tipi di coping diadico negativo: ostile, superficiale o ambivalente. In questo caso, in situazione di stress i partner ricevono o attuano comportamenti minimizzanti, emotivamente distaccati e svalutanti nei confronti dell’altro.

✔️ 5 STEP pratici per la resilienza di coppia

Le coppie resilienti riescono a far fronte agli eventi critici utilizzando le proprie risorse individuali ma, soprattutto, quelle condivise tra i partner.

↪️ Ecco, quindi, cosa tu e il tuo partner potete fare per sviluppare la resilienza di coppia e la capacità di coping diadico positivo.

1️⃣ ENTRA IN CONTATTO CON LE TUE EMOZIONI

Prenditi del tempo per essere consapevole delle emozioni che l’evento stressante ti suscita. Infatti, le persone resilienti sanno riconoscere i propri stati emotivi positivi e negativi, per poterli poi accettare.

2️⃣ CONDIVIDI LE TUE EMOZIONI CON IL PARTNER

Thomas Gordon, psicologo esperto di comunicazione e conflitto, ha creato la tecnica dei “messaggi-Io” in contrapposizione ai “messaggi in seconda persona”, spesso accusatori e giudicanti. Per comunicare che non ci sentiamo ascoltati, possiamo dire Mi sento ignorato/a quando… invece di “Tu non mi ascolti mai!”.

In questo modo, creiamo un clima di fiducia in cui è più semplice condividere le difficoltà senza vergogna e provare maggiore empatia per l’altro. Allenati quindi a curare la comunicazione ed esprimerti in modo chiaro, usando la prima persona singolare “Io”.

3️⃣ PIANIFICATE UNA STRATEGIA CONDIVISA

I partner sono compagni di squadra che si sostengono, nelle vittorie come nelle sconfitte. Conoscersi permette di puntare sulle reciproche risorse per affrontare l’evento stressante e preparare unpiano comune” per gestire gli ostacoli.

4️⃣ FATE UN’AUTO-VALUTAZIONE DEL “PIANO COMUNE” DI COPPIA

Dedica un tempo specifico in cui confrontarti con il partner. Valutate insieme l’efficacia del piano attuato e la vostra personale soddisfazione in merito alle soluzioni comuni con cui state affrontando lo stress.

Potreste rimanere sorpresi da quanto emerge in positivo, oppure potreste decidere di costruire un nuovo “piano comune”.

5️⃣ PRENDETE DEL TEMPO PER RISCOPRIRVI

Dai libero sfogo agli hobby personali, impegnati col partner a scoprire nuove passioni cui dedicarvi insieme, meglio quando occupano sia la mente che il corpo. Poter scrivere un nuovo capitolo condiviso della propria vita di coppia è molto importante per aumentare intimità ed empatia.

🔑 Per concludere

In questo articolo hai imparato 5 step pratici per rafforzare la resilienza nella coppia e il benessere relazionale con il partner. Seguici per scoprire altre idee e consigli pratici per affrontare le sfide con consapevolezza e coltivare con successo il tuo benessere!

Articolo di Laura Garavaglia, psicologa esperta in relazioni familiari e di coppia.

Attacchi di panico: perché ne soffriamo?

Usiamo spesso le parole “attacco di panico” e “ansia” per descrivere momenti difficili e sensazioni sgradevoli.  Ma che cos’è un attacco di panico? É diverso dall’ansia? Ecco un articolo per comprendere una problematica sempre più comune.


Stai camminando in un parco, la giornata è splendida e la temperatura è ottima.
Dopo una settimana così intensa, una passeggiata nel verde era proprio quel che ci voleva per “ricaricare le pile”.

All’improvviso, però, percepisci una strana sensazione, non sai ben definirla né capirne il motivo. A poco a poco, senti che il respiro si fa più affannoso, le mani tremano e il cuore comincia a battere all’impazzata. Non hai la minima idea di cosa stia succedendo, sai solo che hai paura. Forse stai per avere un infarto, o magari un ictus?

Poi, dopo un tempo che ti è sembrato lunghissimo, cominci a sentire di nuovo l’aria nei polmoni, il cuore rallenta e la paura si affievolisce. Ti restano un profondo senso di spossatezza e la preoccupazione che ciò che ti è appena successo possa ripetersi… hai avuto un attacco di panico.

 

 

👓 Se stai leggendo questo articolo, forse è capitato a te o a qualcuno che conosci di sperimentare queste sensazioni. Se è così, sappi che non sei il solo.

⭕ Gli attacchi di panico e le problematiche legate all’ansia sono tra i disturbi più diffusi ed in continuo aumento. Ansia e panico, però, non sono la stessa cosa ed è bene conoscerli e saperli distinguere, anche se la differenza tra le due condizioni è sottile e talvolta possano presentarsi insieme.

Attacchi di panico e ansia: che cosa sono e come si distinguono

Possiamo definire l’ansia come una condizione più generalizzata e pervasiva rispetto al panico. L’ansia può manifestarsi in uno o più ambiti della vita ed è caratterizzata da una certa durata nel tempo. Per esempio, in vista di un esame importante possiamo provare ansia anche per diverse settimane prima di sostenerlo.

I sintomi d’ansia possono manifestarsi a diversi livelli:

1️⃣  cognitivo: difficoltà di concentrazione, indecisione, rimuginio, ecc.
2️⃣  emotivo: irritabilità, demoralizzazione, ecc.
3️⃣  fisico: tensione muscolare, insonnia, tremori, ipersudorazione, ecc.

Il panico si manifesta, invece, sotto forma di attacchi improvvisi: coglie totalmente di sorpresa, si sviluppa e raggiunge l’apice in pochi minuti e può lasciare un senso di stanchezza e spossatezza. Durante questi attacchi, i sintomi si manifestano soprattutto a livello fisico e sono spesso intensi, accompagnati dalla paura di morire, di impazzire o di perdere il controllo.

Tra i sintomi di attacchi di panico più comuni troviamo:

🟡  difficoltà di respirazione
🟠  ipersudorazione
🟡  tachicardia
🟠  vertigini
🟡  debolezza

I primi attacchi di panico non sembrano essere legati a situazioni particolari. Con il tempo, però, è possibile che la persona associ questi attacchi a determinati contesti e situazioni, arrivando a fare di tutto per evitarli o per controllarli. Quando gli episodi si verificano con una certa regolarità, allora si può arrivare a configurare un vero e proprio Disturbo di Panico.

🔎 Da dove vengono gli attacchi di panico?

Ogni persona è diversa e per capirne i sintomi serve esaminare attentamente le sue condizioni di vita e la sua storia personale. Detto questo, è possibile individuare alcune caratteristiche ricorrenti tra coloro che soffrono di attacchi di panico. Queste hanno a che fare non solo con gli specifici tratti di personalità, ma anche con il tipo di società in cui viviamo.

📜 Innanzitutto, il termine panico non è casuale, ma ha riferimenti… mitologici!📜

Deriva infatti dal nome del dio greco Pan, famoso per avere un corpo per metà umano e per metà caprone. A differenza di altre divinità greche, come Zeus o Marte, Pan non viveva sulla cima del monte Olimpo ma nelle profondità dei boschi e nelle campagne.

Il termine “timor panico nacque proprio per definire le spaventose urla che il dio rivolgeva ai malcapitati che osavano disturbare il suo sonno. La doppia natura, umana e caprina, che caratterizza Pan rappresenta bene la duplicità che ogni persona ha dentro di sé: nell’uomo infatti convivono istinto e ragione, emotività e razionalità.

👥 Gli attacchi di panico come “finestra” sulle emozioni

Alcune persone “scordano” con più facilità questa duplicità, dando spazio solo al lato logico e razionale ed esprimendo con difficoltà la parte più profonda, istintuale ed emotiva. Possiamo arrivare a reprimere le nostre emozioni o addirittura a negarle, per paura delle conseguenze, di venirne sommersi o di perdere il controllo.

L’attacco di panico può diventare, in certi casi, quella necessaria valvola di sfogo, lo scatenarsi improvviso di forze per troppo tempo messe da parte e che ora tornano  a reclamare il proprio spazio. Quelle emozioni che ci sforziamo di chiudere fuori dalla porta finiscono, così, per rientrare dalla finestra.

Ma questa difficoltà a essere in contatto con le proprie emozioni non è solo legata alle caratteristiche personali e alla storia di vita del singolo. Siamo, infatti, esseri sociali: influenziamo e siamo influenzati da ciò che ci circonda.

 

Come il mondo intorno a noi favorisce gli attacchi di panico

Esperti e studiosi hanno discusso e discutono sulle caratteristiche del mondo occidentale nella nostra epoca storica. Tra questi possiamo trovare:

ipervelocità: sappiamo praticamente in tempo reale quello che succede dall’altra parte del mondo, si viaggia
ovunque e rapidamente, la comunicazione è quasi istantanea…

senso di onnipotenza: la tecnologia permette oggi di fare ciò che fino a qualche anno fa sembrava
fantascienza, basti pensare ai progressi in campo medico, ingegneristico…

strapotere” della tecnica: chi oggi non ha uno smartphone, un computer o una connessione internet, è
praticamente tagliato fuori dal mondo.

In una società che premia l’immediatezza e il risultato, è molto faticoso lasciare spazio al mondo interiore e alle emozioni, che per loro natura richiedono tempo per essere espresse, elaborate e comprese.

 

Evitare l’attesa: gli attacchi di panico e il tempo

▶️ L’epoca moderna è caratterizzata dal mito del presente. Il progresso tecnologico ha infatti permesso di ridurre notevolmente, se non in certi casi addirittura di azzerare, il tempo di attesa tra il sorgere dei nostri desideri e la possibilità di realizzarli.

A poco a poco, abbiamo disimparato a tollerare l’attesa e abbiamo cominciato a viverla in maniera sempre più negativa.

⏩ Inoltre, il futuro che si apre davanti a noi è ricco di contraddizioni. Siamo circondati da messaggi di successo, autorealizzazione, progresso, ma anche da situazioni di crisi economica, disuguaglianze crescenti, conflitti e problemi ambientali.

Di fronte a queste contraddizioni la nostra società sembra fuggire, per allontanare da sé la spiacevole sensazione di non avere il controllo e di doversi confrontare con un futuro imprevedibile.

⏹️ Sono proprio queste le condizioni che possono facilitare l’insorgere degli attacchi di panico. All’indeterminatezza del futuro e all’intollerabile ansia dell’attesa si sostituisce la paura di una minaccia nota (tutte quelle situazioni che scatenerebbero la crisi, come i luoghi affollati, gli spazi chiusi, ecc), che in quanto tale rassicura e da cui si può (illusoriamente) fuggire.

Recuperare il senso dell’attesa diventa allora fondamentale, per una società che non sa più aspettare.

 

Attacchi di panico: problema o risorsa?

Che il futuro porti con sé l’ignoto, l’enigma e sfugga al controllo infatti, è di per sé inevitabile. Ma con questa consapevolezza tocca a noi scegliere:

🔵 vivere il futuro come una minaccia che ci piomba addosso. Non è un caso che molto spesso gli attacchi di panico si manifestino alle soglie di importanti passaggi evolutivi: la fine della scuola e l’ingresso nel mondo degli adulti, l’inizio di una convivenza, un nuovo lavoro…

🔵 imparare ad andare incontro al futuro, ma in una attesa attiva, con la convinzione di poter contribuire a costruirlo pur rimanendo consapevoli dei limiti e delle incertezze.

Come insegna la psicologia analitica di Carl Gustav Jung, in ogni sintomo è possibile vedere da una parte un campanello d’allarme che segnala che qualcosa non va: nel caso del panico, un mondo emotivo negato, la difficoltà di affrontare il futuro e le sue ambiguità.

Allo stesso tempo, nel sintomo si intravede anche parte della soluzione stessa: nel caso dell’attacco di panico, poter riunire i due lati di Pan. Potersi riappropriare di una spontaneità nel rapporto col proprio mondo interiore, con le proprie emozioni, può diventare anche la chiave per affrontare il futuro con fiducia.

 

Articolo a cura di Marco Florio, psicologo del benessere.