benessere digitale

Cosa fare per migliorare il benessere digitale

Ti capita di sentire il telefono che vibra anche quando non è veramente successo?

Se sì, ecco 5 consigli pratici per occuparsi di benessere digitale.

La “Vibrazione Fantasma”

Ti capita di sentire il telefono vibrare nella tasca anche quando non suona realmente, quando nessuno ti sta realmente scrivendo o chiamando? 

Partiamo dal fatto che se ti capita qualcosa di simile, non sei l’unico dato che questo fenomeno è sempre più diffuso oggi. Si chiama “Sindrome da Vibrazione fantasma” e 9 persone su 10 ne sono vittime.

Ma da dove arriva questo effetto, quali sono le cause? Una delle possibili cause è la notifica push. Lo smartphone non è il problema ma le notifiche e il loro ronzio continuo che richiamano la nostra attenzione sì. 

Da questo sistema “push” viene stimolata una forma di dipendenza celebrale, dove ad ogni notifica corrisponde automaticamente un gesto della mano o dello sguardo che ci direziona verso il nostro telefono, ci guida a sbloccarlo, visionare il contenuto e in un attimo aprire una qualsiasi pagina (Instragram, Facebook, Mail..) e iniziare lo “scroll” della schermata modo automatico. È un attimo che si ripresenta infinite volte in una giornata.

Utilizzo dei device e benessere digitale

Vi capita di sentirvi depressi, ansiosi o arrabbiati dopo aver trascorso molto tempo sui social media? Esiste una connessione tra l’uso notturno della tecnologia e l’aumento dell’indice di massa corporea, l’aumento della  probabilità di ansia, insonnia e una durata e qualità del sonno più breve.

L’uso eccessivo di social media come Facebook, Snapchat e Instagram diminuiscono il benessere psicologico.

Questo accade perché probabilmente ci si trova a confrontare la propria vita con quella di amici, conoscenti e influencer che ostentano una vita perfetta, entusiasmante e ideale.

Tutta questa meraviglia confrontata con la mia giornata “normale”, con la mia relazione “normale” con le mie esperienze “normali”, che effetto mi fa? Più vivo la vita altrui online, meno mi sento grato della mia vita reale offline.

Questo effetto immediato di insoddisfazione si riduce se proviamo a non guardare troppo ciò che l’altro mostra, se ci diamo dei limiti temporali precisi. Questi limiti  li suggerisce una nuova area della psicologia che si occupa proprio di benessere nel mondo digitale.

Il benessere digitale è una competenza che ci aiuta ad orientarci verso un uso positivo e significativo degli strumenti tecnologici come pc, smartphone, app… senza illuderci che essi siano neutri e che tutto dipenda solo dall’uso che se ne fa.

Io posso usarlo “bene” a mio avviso, eppure avere problemi di stress, sonno e sintomi depressivi. Pensiamo anche a come è cambiato il nostro rapporto con la tecnologia a causa della pandemia da covid 19 con fenomeno del tecnostress.

Uno studio pubblicato sulla rivista Child Development ha evidenziato come un uso eccessivo dei social aumenti il rischio di malattia mentale tra giovani e adolescenti.

L’impatto sulla nostra mente delle nuove tecnologie

Gli psicologi hanno studiato e analizzato l’effetto dei nuovi media sul funzionamento mentale. Hanno capito che la tecnologia digitale ha conseguenze relazionali e comportamentali.

Non solo, può incidere sulla qualità delle nostre vite personali, sia positivamente sia negativamente. 

Ci sono situazioni dove la tecnologia ha un impatto negativo.

Pensiamo, come dicevo all’inizio, al caso della vibrazione fantasma o della dipendenza tecnologica.

Tuttavia c’è anche un’altra faccia della medaglia che è il lato “positivo” della tecnologia stessa.

Mi riferisco ad esempio a tutte quelle situazioni dove il digitale migliora la nostra vita: svolgere alcune pratiche online velocemente risparmiando tempo e attese in code interminabili, poter videochiamare ovunque nel mondo connettendo persone distanti fisicamente, tenere monitorata la propria salute, imparare a fare attività nuove nelle situazioni più disperate (mai capitato di cercare “come fare a sturare il lavandino”…con tutorial YouTube? 😉)

Perché il digitale incida positivamente sul nostro benessere e affinché si possano apprezzare a pieno tutti i  suoi vantaggi, dobbiamo riuscire a disinnescare le problematiche di stress, di sovra-consumo e insoddisfazione che emergono dal lato oscuro.

È importante bilanciare bene i due lati: opportunità enormi VS rischi per la salute.

Ricorda: ogni volta che un nuovo strumento (medium) entra nella nostra vita in qualche modo ci cambia. Cambia il nostro pensiero, il nostro comportamento e modo di vivere. Tutto viene riprogrammato proprio partendo dal nostro cervello in modo lento, progressivo e silenzioso.

La tecnologia, lo smartphone, i social ci cambiano lentamente. È indispensabile lasciarci cambiare in modo consapevole e positivo, senza essere rigidi e allontanare una tecnologia che sicuramente migliora la nostra vita ed al contempo senza essere vittime passive.

Ma il punto è: cosa posso fare? Consigli pratici

  1. Il vero cambiamento è rimuovere davvero le notifiche inutili o non immediate. Instagram, Facebook o gruppi whatsapp
  2. Quando vai a correre o quando vuoi ascoltare musica di sottofondo con Apple o Spotify, imposta la modalità aereo per non essere distratto da telefonate o app. 
  3. Pianifica il tempo da passare online e delimita gli spazi entro cui farlo. Inizia a stabilire dei tempi precisi nel quale non utilizzerai il telefono (né telefonate, né social, né mail!) così da godere consapevolmente del mondo reale. Scegli il momento per te più opportuno, ad esempio durante la colazione mattutina, nei primi ed ultimi 10 minuti della pausa pranzo, durante il bagno o al rientro dal lavoro. Non sono necessarie grandi cose, anche piccoli spazi durante la giornata. 
  4. Prendi coscienza di quanto tempo passi online! Installa app che monitorano il tempo trascorso al telefono (benessere digitale – google play) così da renderti conto effettivamente quando superi il tuo “limite personale”. La ricerca suggerisce l’uso dei social per 30 minuti al giorno. No more!
  5. Prova ad uscire di casa senza telefono per il tempo maggiormente possibile per te. Ritagliati quei 10, 20 o 30 minuti ma provaci. Esce dalla zona di comfort e guarda cosa accade intorno a te.

 

Se vuoi saperne di più, contattaci! 

Sarah Noemi Bonomi, Psicologa del Benessere

La nostra spesa è diventata più green?

La nostra spesa è diventata più green? Riflessioni in “semifreddo” sul cambiamento dei consumi in tempi di Covid.

Siamo ciò che mangiamo.” La celebre frase del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach comunica un concetto tanto semplice quanto profondo. Riflettere su quali sono – o sono diventati – i nostri cibi preferiti può infatti rivelarci qualcosa di noi.

E il momento attuale, segnato da una profonda discontinuità legata alla pandemia Covid-19, sembra particolarmente favorevole per riflettere su come stanno cambiando le nostre abitudini, a partire da quelle alimentari.

Dunque, chi siamo? O meglio, che cosa mangiamo?

Gli acquisti compulsivi

Le foto degli scaffali vuoti dei supermercati scattate tra febbraio e marzo 2020 sono ormai un ricordo lontano, ma rimangono tra le più emblematiche dello stato di ansia che ha caratterizzato la prima fase della pandemia.

In quel momento così critico, molte persone hanno acquistato beni a lunga conservazione in grandi quantità, accumulando scorte di cibo nella propria dispensa. Non a caso, i dati Nielsen mostrano che la GDO, nella settimana del 17-23 febbraio 2020, ha registrato un +8,34% di vendite rispetto allo stesso periodo del 2019, dato che ha ricevuto un ulteriore impulso nelle settimane successive, con crescite a doppia cifra, stabilizzandosi intorno ad un +2,7% solo nell’ultima settimana di marzo 2020.

Ma perché si è verificata questa “corsa agli acquisti”? Come affermano i due esperti di marketing Kristina Durante e Juliano Laran in un articolo del 2016, gli acquisti compulsivi costituiscono una vera e propria strategia per fronteggiare le situazioni stressanti, per esercitare il controllo di un ambiente altrimenti incontrollabile.

Non stupisce quindi che, di fronte ad un virus pericoloso e completamente sconosciuto, gli italiani siano corsi a comprare i loro prodotti preferiti. Un esempio su tutti? La pasta.

Se è certo che la pandemia ci abbia spinto ad accumulare scorte di cibo, è altrettanto chiaro che questo tipo di comportamento ha rappresentato una risposta emergenziale e momentanea. È lecito, a questo punto, chiedersi: il Covid ha favorito anche altri cambiamenti, di più lunga durata? Ci ha, in qualche misura, resi “migliori”, avvicinandoci a scelte di consumo più sostenibili?

Il Covid ci ha resto ‘migliori’, la nostra spesa è diventata più green?

La risposta a queste domande è tutt’altro che semplice e, soprattutto, in continuo divenire. Tuttavia, si evidenziano alcuni trend interessanti che possono aiutarci a capire se davvero la nostra  spesa sia diventata più green. Vediamone insieme tre.

Il Biologico

Come sottolinea il rapporto “Bio in cifre 2020” presentato dall’Ismea, rispetto alla fase precedente alla crisi gli italiani si sono rivolti con maggiore decisione verso il biologico. Nel 2020 si è infatti registrato un +7% nel consumo di cibi biologici rispetto all’anno precedente.

Tale incremento, trainato dalla GDO, è stato ulteriormente consolidato nel 2021, anno in cui si è registrata un’ulteriore crescita del 5% nel settore che, come riporta una ricerca di Nomisma, ha raggiunto un valore di 4,6 miliardi di euro.

“Nel 2021, il biologico ha raggiunto un valore di 4,6 miliardi di euro”

Da un punto di vista psicologico, la tendenza ad acquistare alimenti biologici si mostra in linea con un accentuato bisogno di sicurezza, ma anche con il desiderio di prendersi cura di sé e della propria salute.

Parallelamente, è diminuita sensibilmente la richiesta di cibi pronti e preconfezionati, che hanno lasciato posto alla preparazione di pietanze casalinghe.

L’Homemade

Veniamo, quindi, al secondo trend, quello dell’homemade.

Come mostrano i dati Nielsen nel periodo della pandemia è aumentata la domanda dei cosiddetti “ingredienti base”, a partire dai quali è possibile realizzare una varietà di cibi tipici della cucina mediterranea: pane, pizza, torte.

I dati del primo periodo di lockdown sono impressionanti: nell’ultima settimana di marzo, la vendita di farine è aumentata del 213% rispetto allo stesso periodo del 2019, sorpassata solo dal lievito di birra (+226%). In crescita anche il burro (+86%), la margarina (+78%) e lo zucchero (+55%).

Il fatto di valorizzare la dimensione casalinga non è nuovo in Italia. Al contrario, la dimensione della convivialità, centrale nella nostra cultura, può aver rappresentato un modo per fronteggiare il difficile periodo di isolamento.

I comportamenti anti-spreco

Un ultimo dato da celebrare per gli appassionati di sostenibilità riguarda i comportamenti anti-spreco. Il Rapporto Waste Watcher 2021 mostra, infatti, che nel 2020 le famiglie italiane hanno ridotto lo spreco alimentare, sceso da 6,6 euro settimanali a 4,9 euro, anche grazie a una maggiore attenzione nella conservazione degli alimenti e una rinnovata tendenza a mangiare tutto, anche gli avanzi.

“Nel 2020 le famiglie italiane hanno ridotto lo spreco alimentare”

Il fatto di dover consumare la gran parte dei pasti nel contesto casalingo e il maggiore tempo dedicato alla loro preparazione potrebbe aver giovato in tal senso, consentendo una migliore pianificazione dei pasti e una conseguente riduzione degli sprechi.

Conclusioni

Le tre tendenze presentate suggeriscono che la pandemia Covid-19 ci sta avvicinando alla preferenza per un cibo semplice e meno trattato, stimolandoci al tempo stesso a sprecare meno.

Lo scenario è, tuttavia, più complesso: accanto a questi trend, infatti, una ricerca del CREA ha chiaramente mostrato un aumento nel consumo di comfort food: spuntini salati, dolci e bevande alcoliche hanno infatti registrato un aumento dopo lo scoppio della pandemia, in risposta all’esigenza di “viziarci” in un momento difficile.

In generale, comunque, i cambiamenti evidenziati sembrano promettenti! Sarà interessante aggiornarsi più avanti per capire se si consolideranno nel tempo e se, davvero, il la nostra spesa sarà diventata più green.

Articolo di Cecilia Cornaggia esperta in consumi e sostenibilità

5 strumenti per la relazione con figli adolescenti

Il tema dell’adolescenza e di tutti i cambiamenti fisici, emotivi, psicologici e relazionali che porta con sé è di grande interesse, in particolare in questo articolo ci concentreremo sul ruolo che gli adulti possono avere nella crescita dell’adolescente e nell’instaurare con lui una relazione di fiducia e ascolto reciproco. In questo articolo scoprirai 5 strumenti per entrare in relazione con figli adolescenti.

Per cominciare, ecco alcune delle frasi che i ragazzi adolescenti talvolta rivolgono ai loro genitori:

“Loro ti comandano, sempre…ma se invece cercassero di capire? Non ne posso più di sentire sempre ordini, non sono un robot! E poi non si riesce a vivere con chi pensa di avere tutta la ragione dalla sua parte…”

“I miei genitori mi sembrano sempre tristi, arrabbiati con tutti.. e poi tra di loro mai una parola affettuosa.. ma cosa c’è nella loro testa? Ti dicono di fare, riuscire, impegnarsi, non distrarsi.. non vorrei che fossero così duri nelle loro direttive.. Mah, non ci capisco niente!

Sono frasi forti, intense, cariche di emozioni. I genitori ne rimangono spesso sorpresi e si interrogano su quello che i loro figli stanno vivendo. 

 

Adolescenza: cos’è?

Nella letteratura psicologica sono state date varie definizioni di adolescenza: ciascuna ha posto  l’attenzione su aspetti diversi, ma tutte concordano sull’idea che sia una fase di passaggio dall’infanzia verso l’età adulta, durante la quale i ragazzi attraversano numerosi cambiamenti nel corpo e nella mente, acquisiscono nuovi ruoli e responsabilità e si trovano a dover costruire una propria identità.

Questi cambiamenti sono:

1️⃣ FISICI: ne sono un esempio la crescita fisica, la comparsa dei caratteri sessuali secondari come il seno per le ragazze e la barba per i ragazzi e la maturazione degli apparati genitali.

2️⃣ EMOTIVI/PSICOLOGICI, rappresentati principalmente dalla presenza di emozioni intense e da un processo di ridefinizione dei propri valori.

3️⃣ SOCIALI, caratterizzati dall’emergere del gruppo dei pari come punto di riferimento e dalla progressiva individuazione rispetto alle figure adulte.

Compiti di sviluppo e bisogni

Nel suo significato etimologico la parola adolescenza deriva dalla parola latina “adolescens” che significa “che si sta nutrendo”. Dunque l’adolescente è colui che sta crescendo e ancora non ha concluso il processo di costruzione della propria identità. 

Ma in cosa consiste questa crescita?

Gli aspetti da considerare sono molteplici, tanto che alcuni autori hanno individuato precisi compiti di sviluppo che gli adolescenti si trovano a dover affrontare. 

Un importante teorico dello sviluppo, Havighurst, è stato il primo a parlare di precisi compiti che l’adolescente deve affrontare in quella specifica fase evolutiva, tra i principali:

  • Mentalizzare un corpo sessuato: ovvero fare i conti con un corpo che cambia, si sviluppa e quindi con un’immagine nuova di sé.
  • Acquisire indipendenza emotiva dai genitori: sempre più l’adolescente avvertirà il bisogno di distinguersi dai genitori costituendo un’identità propria, pur mantenendo ancora il bisogno di sicurezza che lo ha caratterizzato nelle fasi precedenti.
  • Fare i conti con nuove emozioni, vissuti e trovare un proprio sistema di valori: in questa fase evolutiva l’adolescente vive in modo intenso emozioni come la rabbia, la tristezza, la gioia, sperimentando in modo inedito alcuni vissuti come la vergogna. Tutto ciò caratterizza un periodo di crescita psicologica in cui l’adolescente rivaluta i valori familiari e sociali per scegliere quali vivere come propri. 
  • Nascere a livello sociale: ovvero affrontare importanti cambiamenti sociali ed educativi, come l’ingresso alla scuola secondaria di primo grado o il confronto con il gruppo dei pari.

L’adolescente viene spesso associato, nell’immaginario comune, a parole come “ribelle” o “limiti”. Certamente attraversa una fase critica ma preferiamo promuovere una visione dell’adolescente come portatore di bisogni personali sempre più importanti e complessi. Per sviluppare la relazione con figli adolescenti in modo positivo, è importante conoscerli ed esplorarli insieme a loro.

Tra i più importanti troviamo:

  • autonomia
  • sicurezza
  • riconoscimento, da parte degli adulti di riferimento così come dei pari
  • sperimentare
  • essere accettato
  • essere ascoltato
  • appartenere al gruppo
  • trasgredire
  • comunicare
  • amare ed essere amato

Alla scoperta di sé e dell’altro nella relazione

Parlare però di adolescenza senza citare il ruolo della famiglia e il difficile compito a cui è chiamata è probabilmente riduttivo: l’adolescenza implica necessariamente entrare in relazione, in cui riveste un ruolo importante lo sguardo che l’adulto (genitore, docente, allenatore che sia) ha sul ragazzo e come si pone di fronte ai  cambiamenti e alle emozioni che ne animano la vita.

Capita spesso che i ragazzi provino emozioni “scomode” quali: rabbia, tristezza, ansia, noia. Gestirle non è semplice e un ruolo cruciale in questo è giocato anche da come gli adulti si pongono: accogliendole, ascoltandole, legittimandole oppure no. 

È proprio in questa accoglienza dei loro bisogni e delle loro emozioni che si gioca la relazione con i nostri ragazzi! Curare questi aspetti per entrare in relazione con figli adolescenti permette di essere delle figure di supporto in questa fase di crescita.

 

5 Strumenti per entrare in relazione con figli adolescenti

Noi adulti come possiamo porci nella relazione con i ragazzi? Ecco alcuni consigli.

ASCOLTO e DIALOGO: aspetto fondamentale è creare dialogo. Dando spazio all’ascolto possiamo metterci in discussione, metterci nei panni l’uno dell’altro, senza agire d’impulso per fretta, senso di colpa o senso del dovere. L’ascolto attivo è già uno strumento importantissimo nella relazione, ancor prima delle risposte o parole che rivolgiamo ai nostri adolescenti. 

RICONOSCERE, ACCETTARE E TOLLERARE LE EMOZIONI: aiutare l’adolescente a mettere a fuoco cosa prova. L’adulto può sostenerlo nel riconoscere, accettare e imparare a tollerare le emozioni più intense. Un elemento fondamentale per raggiungere questo obiettivo è avere uno sguardo empatico, per far sviluppare tale capacità anche nell’adolescente.

PROGETTUALITÀ: con gli adolescenti non si può tessere un dialogo senza trattare l’aspetto del desiderio, di ciò che a loro vorrebbero fare o realizzare. Aiutatrli a prendere consapevolezza di sé, per coltivare le proprie passioni e dar vita ai loro obiettivi futuri. 

“PORTO SICURO”: ovvero rimandare all’adolescente che accogliamo le sue emozioni, le sue esperienze, le sue sfide. Gli adulti rimangono quel “porto sicuro” in cui l’adolescente può approdare quando è in difficoltà, così come quando sente il bisogno di sicurezza e di vicinanza da chi gli vuole bene.

FARE IL TIFO: è importante che ogni adulto di riferimento trasmetta un senso di fiducia all’adolescente, nelle sue capacità e in tutto ciò che deciderà di sperimentare. 

 

Articolo di Elisa Casada e Laura Garavaglia, psicologhe esperte in relazioni familiari.

Come educarci alle differenze? 3 modi per imparare a conoscerle e valorizzarle

Ogni giorno negli ambienti di lavoro, famigliari e sociali siamo protagonisti di conversazioni, situazioni, esperienze che ci espongono all’incontro con le differenze.

In questo articolo, scoprirai perché è importante educarci alle differenze, i termini chiave per parlarne e alcune tipiche risposte che mettiamo in atto davanti a ciò che etichettiamo come “diverso da noi”. Troverai anche 3 spunti pratici per comprendere il tuo rapporto con le differenze e migliorarlo.

⚙️ Le parole che… fanno la differenza

Ti sarà capitato di condividere con amici e conoscenti racconti di episodi quotidiani di incontro, o di scontro, con le differenze.

Davanti a ciò che non conosciamo e che non ci è immediatamente chiaro e comprensibile, possiamo sentirci incerti e a disagio. Spesso agiamo d’istinto, usando modi di pensare e schemi mentali che ci permettono di rispondere velocemente ma non sempre in modo adatto alla realtà che abbiamo di fronte.

Ma perché questo accade?

Per cominciare a navigare in questi temi, puoi partire da queste domande:

❔ Cosa sono le differenze? Sono caratteristiche fisse, proprie delle persone, grazie alle quali possiamo dividere gli altri in gruppi ben distinti e uguali al loro interno? Oppure possono essere a loro volta insiemi di significati e sfumature variabili, influenzati dal modo in cui entriamo in contatto con gli altri e con il loro mondo?

❔ Cosa significa diversità (diversity)? Ne sentiamo tanto parlare, spesso sul lavoro o sui social media. Ma “diversità” è un’etichetta artificiale, un obbligo noioso che non ti riguarda? Oppure una possibilità per conoscere e riconoscere una varietà di risorse ed esperienze che possono dare valore?

❔ Perché sentiamo parlare di uguaglianza e parità? Immaginiamo di distribuire uguali risorse e possibilità a tutti. Ma abbiamo davvero bisogno delle stesse cose? O le differenze ci chiamano a distribuire opportunità in modo bilanciato, equo?

Oltre al modo in cui pensiamo, abbiamo anche diversi modi di comportarci davanti alle differenze.

↪️ Un primo approccio può essere quello di accettare le differenze, vedendole come qualcosa che si tollera e accoglie, a patto che “il diverso” si adatti alle regole e usanze della “maggioranza”.

↪️ Un’altra possibilità è quella di integrare tra differenze: questo vuol dire cominciare a fare uno sforzo di comprensione e collaborazione reciproca.

↪️ Possiamo, infine, spingerci ancora più in là e includere le differenze. Questo significa educarci a valorizzarle e condividerle, senza lottare per mantenere confini insuperabili tra maggioranze e minoranze.

 

 

🧭 Gli “occhiali” dell’esperienza: ecco come leggiamo il mondo

La psicologia ci offre alcuni elementi importanti per capire come funzioniamo:

👓 Per prima cosa, il modo in cui percepiamo il mondo non è oggettivo. Ognuno di noi osserva e legge la realtà indossando “occhiali” costruiti sulla propria esperienza. Una stessa situazione può essere vista in modi  diversi non solo da persone diverse, ma anche da noi stessi nel corso della vita… o della giornata!

👓 Inoltre, il modo in cui vediamo noi stessi e ciò che ci accade nel tempo rafforza alcune nostre convinzioni su chi siamo. Gli psicologi parlano del sé come qualcosa di plurale. Ci sentiamo noi stessi perché una parte di noi è abbastanza stabile nel tempo da permetterci di dire “questo sono io”, ma viviamo sfaccettature diverse di questa identità: siamo figli, lavoratori, partner, proprietari di compagni d’avventura domestici, appassionati lettori…

Siamo, insomma, noi per primi frutto di un incontro di differenze! Riconoscerlo ci permette di incontrare negli altri con più curiosità e apertura.

❗ Per educarci alle differenze, dobbiamo educarci quindi a riconoscere quanto potere hanno gli “occhiali” attraverso cui interpretiamo la realtà. Tendiamo spesso a definire il “diverso” cercando di ridurlo a ciò che ci è noto, familiare, rischiando di ridurre gli altri – ma anche noi stessi! – a ciò che pensiamo di conoscere di loro.

Proviamo ora a comprendere meglio come il nostro pensiero può cadere in alcune trappole di semplificazione e con quali conseguenze.

🔺 Tre “errori cognitivi”: la mente davanti alle differenze

La psicologia sociale parla di bias o errori cognitivi, ovvero scorciatoie di pensiero non efficaci che costruiamo sulla base di giudizi a priori. Ecco tre bias tra i più comuni:

1️⃣ Errore fondamentale di attribuzione: per spiegarci il comportamento altrui, tendiamo a basarci su quelli che percepiamo come tratti individuali, trascurando l’influenza del contesto e di fattori esterni alla persona.

💡 Pensiamo, ad esempio: “Mi ha risposto male perché è una persona maleducata”, ma la persona potrebbe avere avuto semplicemente una brutta giornata.

2️⃣ Effetto di mera esposizione: quando siamo esposti ripetutamente a messaggi o stimoli, tendiamo a trovarli familiari e quindi più piacevoli.
💡Più tempo passiamo con una persona, ad esempio, più tenderemo a trovarla piacevole, bella… anche se inizialmente ci era indifferente. Il solo fatto di essere esposti a questa persona, anche se non la conosciamo approfonditamente, può farcela preferire a qualcuno di meno conosciuto.

3️⃣ Bias di conferma: se abbiamo una convinzione, ci concentriamo sugli elementi che la confermano e ad eliminare o ignorare quelli in contrasto.

💡 Se, per esempio, pensiamo che gli altri siano sempre contro di noi, tenderemo a interpretare i loro comportamenti come aggressivi, minacciosi, oppure indifferenti, non comprensivi...

Seguire queste scorciatoie ci facilita nel dover prendere decisioni e orientarci tutti i giorni nella complessità. Semplificare eccessivamente, però, può portare a trasformare le differenze in stereotipi e pregiudizi, a cercare di costringere in etichette rigide e assolute persone ed esperienze.

 

 

🔑 3 azioni per educarci alle differenze

Per concludere, ecco 3 consigli per non fermarti alla prima impressione e imparare a conoscere e valorizzare le differenze:

🧩 Interrogati: parti da te stesso e incuriosisciti davanti ai tuoi pensieri e comportamenti. Prova a mettere in discussione i modi in cui senti parlare di differenze e i modi con cui ti confronti con esse, magari a partire dagli spunti tratti da questo articolo.

🧩 Informati: prova a consultare piattaforme, articoli e riviste cercando di approcciare il tema da punti di vista differenti. Un paio di consigli da cui potresti partire sono: per approfondire i temi di diversità e inclusione, la piattaforma della no-profit Diversity.  In tema di parità di genere, puoi consultare il sito dell’European Institute for Gender Equality.

🧩 Interessati: abbiamo parlato del modo in cui costruiamo noi stessi e il senso di ciò che ci circonda. Interrogarsi e informarsi sono una buona base di partenza. Cerca anche, oltre a questo, occasioni di incontro con le differenze, specialmente con quelle che ti sono meno familiari. Incontrare storie  concrete, fatte di aneddoti e vite vissute, ti permetterà di metterti in discussione, conoscerle e conoscerti meglio.
Se sei un genitore, ti consigliamo la lettura dell’articolo Razzismo: 3 consigli per insegnare a tuo figlio il rispetto dell’altro scritto dalla dott.ssa Giulia Della Canonica.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è.”

Marcel Proust

 

Articolo a cura di Marta Piria, esperta in psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

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Comunicare se stessi sui social network. Cosa ci dice la psicologia

Gli studi della psicologia dei nuovi media ci aiutano a comprendere quanto sveliamo di noi stessi quando utilizziamo i social network.

Fare un post su Facebook, pubblicare una video-storia su Instagram, rispondere ad un commento in direct; queste sono solo alcune delle attività che possiamo svolgere sui social network. Vediamo insieme alcuni aspetti importanti di queste azioni social(i).

1. Non si può non comunicare

Come diceva Aristotele, l’essere umano è per natura un animale sociale.

Tutti noi, attraverso una serie di segnali che si sono sviluppati ed evoluti nel corso dei secoli, siamo in relazione costante con gli altri esseri viventi e con l’ambiente circostante.

La funzione primaria che ci permette tale connessione con gli altri è la comunicazione.

Per comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) si intende il processo e le modalità di trasmissione di un’informazione da un individuo a un altro (o da un luogo a un altro), attraverso lo scambio di un messaggio elaborato 📣 secondo le regole di un determinato codice.

Comunicare significa mettere qualcosa di noi in comune con l’altro fuori da noi.

2. L’avvento delle nuove tecnologie

Questo nostro istinto a comunicare per poter costruire e mantenere le relazioni con il mondo esterno ci ha portato a costruire nuove tecnologie  in grado di amplificare a dismisura le nostre capacità comunicative.

Le tecnologie per la comunicazione sono definite ICT, ovvero tecnologie informative e comunicative. Tecnologie che conquistano ogni giorno nuovi utenti e si espandono a un ritmo davvero impressionante.

Grazie agli smartphone, ai personal computer e ai social media, ovvero le tecnologie per la realizzazione dei social network, le possibilità comunicative degli esseri umani si sono amplificate in maniera esorbitante nel giro di un solo decennio.

L’interazione con i nuovi media è divenuta così una parte centrale della nostra esperienza quotidiana, che ci assorbe per diverse ore della giornata.

I fenomeni più vistosi correlati all’uso dei social network sono l’incremento eccezionale del numero di connessioni tra gli utenti 🔗 e della quantità di informazioni scambiate.

Oltre che una crescita in termini quantitativi della comunicazione, i nuovi media hanno modificato e continuano a modificare anche il nostro modo di comunicare in termini qualitativi.

“Negli ultimi anni nell’ambito degli studi psicologici si è sviluppata una nuova disciplina: la psicologia dei nuovi media.

Punto di incontro tra scienze umane e nuove tecnologie, questa disciplina ha come oggetto la comprensione, la previsione e l’attivazione dei processi di cambiamento individuali e sociali che scaturiscono dall’interazione con i media digitali, tra cui i social network”

Secondo la psicologia, nell’atto di comunicare sui social network sono implicati degli aspetti identitari – ogni post o commento è specchio della nostra identità – e degli aspetti simbolici – ogni azione vuole rappresentare, ovvero stare al posto di, un altro messaggio.

3. Aspetti identitari – Cosa i social network dicono di noi

Oggi, grazie ai social network, sappiamo molto di più delle persone con cui interagiamo. I social network sono infatti delle piattaforme che consentono all’utente di narrarsi e gestire così la propria identità sociale.

L’identità sociale viene definita dalla psicologia sociale come la consapevolezza delle caratteristiche dei gruppi sociali di riferimento Busts in Silhouette on Twitter di cui l’individuo fa parte.

Il risultato è una gerarchia di appartenenze, la cui identificazione cambia a seconda della situazione in cui ci troviamo. Per cui siamo genitori quando andiamo a scuola a prendere i figli, siamo amici quando andiamo a vedere una partita al bar e siamo lavoratori quando entriamo la mattina in ufficio.

L’utilizzo dei social network e la scelta di che cosa pubblicare su ciascuno di essi è una forma avanzata di gestione della propria identità sociale, che ci permette di decidere come presentarci alle persone che compongono la nostra rete.

Riusciamo così a far emergere all’interno dei diversi profili gli elementi che più ci

caratterizzano.

La psicologa americana Katelyn McKenna ha dimostrato come le persone siano più disposte

a rivelare il proprio vero sé sui social network di quanto non lo siano nella vita reale (clicca qui per approfondire la sua ricerca).

Altri studi dimostrano invece che quando narriamo il nostro sé online tendiamo a raccontare più il

nostro sé ideale, ovvero come vorremmo essere percepiti dagli altri, che il nostro sé reale e attuale.

In entrambi i casi, quando pubblichiamo qualcosa sui social network facciamo un atto che non solo riflette la nostra identità, ma riesce a dare forma all’identità, influenzando la percezione degli altri su di noi.

4. Aspetti simbolici – Quello che sembra è

Sui social network abbiamo il controllo nel definire noi stessi, non lasciando agli altri questo potere.

Ciò li rende lo strumento ideale per narrarci e presentarci agli altri, decidendo in prima persona quali ruoli e quali eventi presentare, in modo che ci rappresentino nel modo in cui vogliamo essere percepiti.

Nei social network gli utenti possono organizzare la propria presentazione in maniera strategica per trasmettere una precisa immagine di sé.

Per esempio, per attirare l’attenzione dell’amica di Pietro che ama la musica jazz posso decidere di pubblicare in modo simbolico una foto mentre sono in un club jazz, così da comunicare di essere una persona appassionata di musica jazz.

Questo è alla base delle cosiddette attività di personal branding 🧑‍🎨 ovvero di promozione di se stessi e della propria reputazione, che modificano il nostro status all’interno della nostra rete.

Dobbiamo ricordarci che sui social network quello che viene visto viene interpretato come vero.

Pubblicando in modo costante foto di bei piatti cucinati, gli altri penseranno di noi che siamo dei bravi cuochi. Se facciamo un’invettiva contro qualcuno, la nostra rete penserà di noi che siamo persone polemiche. Se ci mostriamo sempre felici, gli altri penseranno che abbiamo una vita fantastica e senza problemi.

Sui social network il potere delle percezioni che gli altri hanno di noi è completamente nelle nostre mani.

Per questo in psicologia si dice che i social network possono essere considerati degli strumenti di empowerment personale 💪 cioè di consapevolezza e controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni di mostrarsi agli altri con una precisa immagine.

Articolo a cura di Simona Toni, esperta in psicologia della comunicazione e del marketing