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5 strumenti per la relazione con figli adolescenti

Il tema dell’adolescenza e di tutti i cambiamenti fisici, emotivi, psicologici e relazionali che porta con sé è di grande interesse, in particolare in questo articolo ci concentreremo sul ruolo che gli adulti possono avere nella crescita dell’adolescente e nell’instaurare con lui una relazione di fiducia e ascolto reciproco. In questo articolo scoprirai 5 strumenti per entrare in relazione con figli adolescenti.

Per cominciare, ecco alcune delle frasi che i ragazzi adolescenti talvolta rivolgono ai loro genitori:

“Loro ti comandano, sempre…ma se invece cercassero di capire? Non ne posso più di sentire sempre ordini, non sono un robot! E poi non si riesce a vivere con chi pensa di avere tutta la ragione dalla sua parte…”

“I miei genitori mi sembrano sempre tristi, arrabbiati con tutti.. e poi tra di loro mai una parola affettuosa.. ma cosa c’è nella loro testa? Ti dicono di fare, riuscire, impegnarsi, non distrarsi.. non vorrei che fossero così duri nelle loro direttive.. Mah, non ci capisco niente!

Sono frasi forti, intense, cariche di emozioni. I genitori ne rimangono spesso sorpresi e si interrogano su quello che i loro figli stanno vivendo. 

 

Adolescenza: cos’è?

Nella letteratura psicologica sono state date varie definizioni di adolescenza: ciascuna ha posto  l’attenzione su aspetti diversi, ma tutte concordano sull’idea che sia una fase di passaggio dall’infanzia verso l’età adulta, durante la quale i ragazzi attraversano numerosi cambiamenti nel corpo e nella mente, acquisiscono nuovi ruoli e responsabilità e si trovano a dover costruire una propria identità.

Questi cambiamenti sono:

1️⃣ FISICI: ne sono un esempio la crescita fisica, la comparsa dei caratteri sessuali secondari come il seno per le ragazze e la barba per i ragazzi e la maturazione degli apparati genitali.

2️⃣ EMOTIVI/PSICOLOGICI, rappresentati principalmente dalla presenza di emozioni intense e da un processo di ridefinizione dei propri valori.

3️⃣ SOCIALI, caratterizzati dall’emergere del gruppo dei pari come punto di riferimento e dalla progressiva individuazione rispetto alle figure adulte.

Compiti di sviluppo e bisogni

Nel suo significato etimologico la parola adolescenza deriva dalla parola latina “adolescens” che significa “che si sta nutrendo”. Dunque l’adolescente è colui che sta crescendo e ancora non ha concluso il processo di costruzione della propria identità. 

Ma in cosa consiste questa crescita?

Gli aspetti da considerare sono molteplici, tanto che alcuni autori hanno individuato precisi compiti di sviluppo che gli adolescenti si trovano a dover affrontare. 

Un importante teorico dello sviluppo, Havighurst, è stato il primo a parlare di precisi compiti che l’adolescente deve affrontare in quella specifica fase evolutiva, tra i principali:

  • Mentalizzare un corpo sessuato: ovvero fare i conti con un corpo che cambia, si sviluppa e quindi con un’immagine nuova di sé.
  • Acquisire indipendenza emotiva dai genitori: sempre più l’adolescente avvertirà il bisogno di distinguersi dai genitori costituendo un’identità propria, pur mantenendo ancora il bisogno di sicurezza che lo ha caratterizzato nelle fasi precedenti.
  • Fare i conti con nuove emozioni, vissuti e trovare un proprio sistema di valori: in questa fase evolutiva l’adolescente vive in modo intenso emozioni come la rabbia, la tristezza, la gioia, sperimentando in modo inedito alcuni vissuti come la vergogna. Tutto ciò caratterizza un periodo di crescita psicologica in cui l’adolescente rivaluta i valori familiari e sociali per scegliere quali vivere come propri. 
  • Nascere a livello sociale: ovvero affrontare importanti cambiamenti sociali ed educativi, come l’ingresso alla scuola secondaria di primo grado o il confronto con il gruppo dei pari.

L’adolescente viene spesso associato, nell’immaginario comune, a parole come “ribelle” o “limiti”. Certamente attraversa una fase critica ma preferiamo promuovere una visione dell’adolescente come portatore di bisogni personali sempre più importanti e complessi. Per sviluppare la relazione con figli adolescenti in modo positivo, è importante conoscerli ed esplorarli insieme a loro.

Tra i più importanti troviamo:

  • autonomia
  • sicurezza
  • riconoscimento, da parte degli adulti di riferimento così come dei pari
  • sperimentare
  • essere accettato
  • essere ascoltato
  • appartenere al gruppo
  • trasgredire
  • comunicare
  • amare ed essere amato

Alla scoperta di sé e dell’altro nella relazione

Parlare però di adolescenza senza citare il ruolo della famiglia e il difficile compito a cui è chiamata è probabilmente riduttivo: l’adolescenza implica necessariamente entrare in relazione, in cui riveste un ruolo importante lo sguardo che l’adulto (genitore, docente, allenatore che sia) ha sul ragazzo e come si pone di fronte ai  cambiamenti e alle emozioni che ne animano la vita.

Capita spesso che i ragazzi provino emozioni “scomode” quali: rabbia, tristezza, ansia, noia. Gestirle non è semplice e un ruolo cruciale in questo è giocato anche da come gli adulti si pongono: accogliendole, ascoltandole, legittimandole oppure no. 

È proprio in questa accoglienza dei loro bisogni e delle loro emozioni che si gioca la relazione con i nostri ragazzi! Curare questi aspetti per entrare in relazione con figli adolescenti permette di essere delle figure di supporto in questa fase di crescita.

 

5 Strumenti per entrare in relazione con figli adolescenti

Noi adulti come possiamo porci nella relazione con i ragazzi? Ecco alcuni consigli.

ASCOLTO e DIALOGO: aspetto fondamentale è creare dialogo. Dando spazio all’ascolto possiamo metterci in discussione, metterci nei panni l’uno dell’altro, senza agire d’impulso per fretta, senso di colpa o senso del dovere. L’ascolto attivo è già uno strumento importantissimo nella relazione, ancor prima delle risposte o parole che rivolgiamo ai nostri adolescenti. 

RICONOSCERE, ACCETTARE E TOLLERARE LE EMOZIONI: aiutare l’adolescente a mettere a fuoco cosa prova. L’adulto può sostenerlo nel riconoscere, accettare e imparare a tollerare le emozioni più intense. Un elemento fondamentale per raggiungere questo obiettivo è avere uno sguardo empatico, per far sviluppare tale capacità anche nell’adolescente.

PROGETTUALITÀ: con gli adolescenti non si può tessere un dialogo senza trattare l’aspetto del desiderio, di ciò che a loro vorrebbero fare o realizzare. Aiutatrli a prendere consapevolezza di sé, per coltivare le proprie passioni e dar vita ai loro obiettivi futuri. 

“PORTO SICURO”: ovvero rimandare all’adolescente che accogliamo le sue emozioni, le sue esperienze, le sue sfide. Gli adulti rimangono quel “porto sicuro” in cui l’adolescente può approdare quando è in difficoltà, così come quando sente il bisogno di sicurezza e di vicinanza da chi gli vuole bene.

FARE IL TIFO: è importante che ogni adulto di riferimento trasmetta un senso di fiducia all’adolescente, nelle sue capacità e in tutto ciò che deciderà di sperimentare. 

 

Articolo di Elisa Casada e Laura Garavaglia, psicologhe esperte in relazioni familiari.

“Psicologia del male”: cattivi si nasce o si diventa?

Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità.

Con questo avviso si aprono i video di luglio 2021 sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). I filmati online riprendono torture, abusi e manganellate da parte della polizia penitenziaria sui detenuti. Le indagini sono ancora in corso e le violenze continuano, ci ricordano che le persone possono commettere atti violenti e crudeli.

In questo articolo scopriremo alcuni spunti di “psicologia del male” sul tema: cattivi si nasce o si diventa?

Dalla prigione di Stanford al carcere di Caserta: la “psicologia del male” tra esperimento e realtà

Gli esperti di psicologia ricordano molto bene il famoso caso di studio The Stanford prison experiment, condotto da Philip Zimbardo, professore emerito di psicologia presso l’università di Stanford. Lo studio è stato condotto nel 1971 con l’obiettivo di comprendere meglio l’origine di comportamenti brutali. 

🎦 Il “Stanford prison experiment” è noto anche al grande pubblico soprattutto per i tanti documentari e film realizzati negli anni, quali “The Experiment” (2010) e “Effetto Lucifero” (2015).

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Zimbardo allestì insieme ai suoi collaboratori una finta prigione nel sottoscala dell’università di Stanford, facendosi aiutare persino da un ex-detenuto per riprodurre un ambiente verosimile. Vi erano una stanza per l’isolamento, uno spazio all’aperto, e nessun contatto possibile con l’esterno.

I partecipanti erano studenti universitari volontari. Due gruppi, “prigionieri” e “guardie”, furono creati per studiare le interazioni in un contesto simile a quello delle carceri americane. Negli anni, lo studio di Zimbardo ha ricevuto critiche non solo rispetto all’eticità dello studio, ma anche circa la validità dei risultati.

Il caso, assieme ad altri famosi studi di psicologia sociale (per approfondire ti consigliamo il libro “Psicologia del Male” di Piero Bocchiaro), ha acceso riflessioni e dibattiti sul tema della responsabilità personale e sociale. La “psicologia del male” ci ricorda che comportamenti come indifferenza, negligenza, fino alla violenza diretta possono nascere da persone comuni, potenzialmente da ognuno di noi.

I fatti del carcere di Caserta mostrano come anche nella realtà le guardie assumano atteggiamenti violenti e abusanti nei confronti dei prigionieri. Alcune domande sorgono spontanee:

Abbiamo davanti a noi persone patologicamente crudeli, “nate cattive”?
Possiamo prevenire queste situazioni in contesti che oggi favoriscono la violenza? Come?

Che cosa spinge le persone ad “essere cattive”?

Alcune persone sostengono che gli esseri umani siano nati buoni o nati cattivi. Penso che non abbia senso. Siamo tutti nati con questa straordinaria capacità di essere qualsiasi cosa.

Philip Zimbardo 

Nei film di supereroi si parla del bene che sconfigge il male, ma esiste una distinzione così netta?

💡 I media parlano spesso di “mostri” e “supereroi” tralasciando, forse volontariamente, la verità più assoluta: che siamo tutti persone.  Allontanare il concetto di male dall’essere umano “comune” può essere rassicurante, ma poco veritiero.

La “cattiveria” non è innata né è semplicemente causata dall’ambiente. Tendenze personali e influenze esterne si incontrano e intrecciano, influenzando atteggiamenti e comportamenti.

Carl Rogers, padre della psicologia umanistica, era fermamente convinto della bontà dell’essere umano. Secondo Rogers, la natura umana è positiva e degna di fiducia. Ogni organismo vivente possiede quella che egli chiama tendenza attualizzante che può, però, svilupparsi solo se trova un ambiente favorevole. La società, il contesto, i rapporti personali possono bloccare questa tendenza, proprio come un seme che ha la tendenza a diventare pianta, ma può farlo solo a certe condizioni.

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Ma in quali modi le situazioni e i contesti favoriscono atteggiamenti e comportamenti dannosi?

Nel famoso libro “La banalità del male”, la filosofa Hannah Arendt racconta di come il gerarca nazista Adolf Eichmann si difese dalle gravi accuse contro di lui con un semplice: “Stavo eseguendo gli ordini”. Eichmann non era un mostro disumano: l’autrice lo definisce “spaventosamente normale”.  Cosa lo ha spinto a commettere alcuni tra i crimini più atroci della storia?

Psicologia del male e disimpegno morale: come tutti possiamo “diventare cattivi”

Per capire in che modo il male possa essere “banale”, la psicologia sociale ci viene nuovamente in aiuto.

Gli studi sui meccanismi di disimpegno morale spiegano come delle distorsioni del pensiero possano alleviare il senso di colpa e ridurre il senso di responsabilità verso comportamenti e azioni dannose. Tra questi meccanismi troviamo:

1️⃣ La diffusione di responsabilità: riguarda situazioni in cui la presenza di più persone o gruppi riduce il senso di responsabilità verso le proprie azioni. Nell’esperimento di Stanford, la violenza delle “guardie” può essere stata facilitata dall’essere in gruppo, riducendo il senso di responsabilità personale nei partecipanti.

2️⃣ La distorsione delle conseguenze: si verifica quando si tende a minimizzare gli effetti delle proprie azioni per perseguire il proprio obiettivo. Nell’esperimento di Stanford, l’obiettivo era rappresentare la realtà carceraria che è vista per lo più come brutale e feroce. Questo ha favorito minor empatia e maggior distanza tra i partecipanti. Le azioni malevole sembravano, inoltre, “giustificate” dall’esperimento.

3️⃣ La de-umanizzazione: porta a considerare l’altro come “non umano”, privandolo della sua storia e identità. I comportamenti delle guardie nella prigione di Stanford sono stati un crescendo di de-umanizzazione: un vero e proprio spogliare di umanità l’altro, cominciando dal privarlo del suo nome e chiamarlo per numero.

Relazioni, situazioni e contesti possono favorire comportamenti che portano a ignorare o degradare altre persone. Educazione e formazione su questi meccanismi sono fondamentali per imparare a non subire passivamente, ma a riconoscerli e affrontarli.

La realtà carceraria: verso una rieducazione a tutto tondo

Le carceri sono un mondo complesso, dove le persone spesso arrivano portando con sé storie di dolore ed esperienze di violenza. Oggi più che mai serve costruire nuovo senso, scopi e proposte con e per i carcerati e il personale.

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L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Art.27 della Costituzione Italiana

Per mettere al centro l’umanità delle persone, serve l’intervento di professionisti specializzati. Una presenza solida di educatori, pedagogisti, psicologi e professionisti sanitari favorirebbe la creazione e l’accompagnamento di percorsi e pratiche di recupero e rieducazione. Secondo il XVII Rapporto di Antigone sulle carceri italiane, la presenza media a settimana per 100 detenuti è di soli 8,97 psichiatri e 16,56 psicologi.

Ad aver bisogno di sostegno non sono solo i detenuti, ma anche il personale. Le case di reclusione sono a tutti gli effetti delle piccole comunità. Spesso gli operatori devono gestire conflitti e alti livelli di stress. Inoltre, il personale non riceve formazione specifica su fenomeni come il disimpegno morale e l’esercizio di autorità.

Psicologia del male

Nessuno giustifica le violenze del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il caso mostra la forte necessità di un supporto psicologico a servizio dei contesti carcerari.

Etichettare persone come “cattive” e cercare colpevoli per i comportamenti non risolve il problema del male. Tutti, in particolare chi ha ruoli di autorità e controllo, devono essere formati e preparati, supportati per far sì che fatti come questi non si ripetano più.

La psicologia nel contesto carcerario è una realtà indispensabile ma ampiamente sottovalutata e sottoutilizzata, come se fosse un optional, un abbellimento. 

[…]  Prevenire è fondamentale anche in carcere,
la riduzione dello stress e la gestione dei conflitti richiedono competenze specifiche.

David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi 

 

Articolo a cura di Giulia Della Canonica, psicologa

 

Come educarci alle differenze? 3 modi per imparare a conoscerle e valorizzarle

Ogni giorno negli ambienti di lavoro, famigliari e sociali siamo protagonisti di conversazioni, situazioni, esperienze che ci espongono all’incontro con le differenze.

In questo articolo, scoprirai perché è importante educarci alle differenze, i termini chiave per parlarne e alcune tipiche risposte che mettiamo in atto davanti a ciò che etichettiamo come “diverso da noi”. Troverai anche 3 spunti pratici per comprendere il tuo rapporto con le differenze e migliorarlo.

⚙️ Le parole che… fanno la differenza

Ti sarà capitato di condividere con amici e conoscenti racconti di episodi quotidiani di incontro, o di scontro, con le differenze.

Davanti a ciò che non conosciamo e che non ci è immediatamente chiaro e comprensibile, possiamo sentirci incerti e a disagio. Spesso agiamo d’istinto, usando modi di pensare e schemi mentali che ci permettono di rispondere velocemente ma non sempre in modo adatto alla realtà che abbiamo di fronte.

Ma perché questo accade?

Per cominciare a navigare in questi temi, puoi partire da queste domande:

❔ Cosa sono le differenze? Sono caratteristiche fisse, proprie delle persone, grazie alle quali possiamo dividere gli altri in gruppi ben distinti e uguali al loro interno? Oppure possono essere a loro volta insiemi di significati e sfumature variabili, influenzati dal modo in cui entriamo in contatto con gli altri e con il loro mondo?

❔ Cosa significa diversità (diversity)? Ne sentiamo tanto parlare, spesso sul lavoro o sui social media. Ma “diversità” è un’etichetta artificiale, un obbligo noioso che non ti riguarda? Oppure una possibilità per conoscere e riconoscere una varietà di risorse ed esperienze che possono dare valore?

❔ Perché sentiamo parlare di uguaglianza e parità? Immaginiamo di distribuire uguali risorse e possibilità a tutti. Ma abbiamo davvero bisogno delle stesse cose? O le differenze ci chiamano a distribuire opportunità in modo bilanciato, equo?

Oltre al modo in cui pensiamo, abbiamo anche diversi modi di comportarci davanti alle differenze.

↪️ Un primo approccio può essere quello di accettare le differenze, vedendole come qualcosa che si tollera e accoglie, a patto che “il diverso” si adatti alle regole e usanze della “maggioranza”.

↪️ Un’altra possibilità è quella di integrare tra differenze: questo vuol dire cominciare a fare uno sforzo di comprensione e collaborazione reciproca.

↪️ Possiamo, infine, spingerci ancora più in là e includere le differenze. Questo significa educarci a valorizzarle e condividerle, senza lottare per mantenere confini insuperabili tra maggioranze e minoranze.

 

 

🧭 Gli “occhiali” dell’esperienza: ecco come leggiamo il mondo

La psicologia ci offre alcuni elementi importanti per capire come funzioniamo:

👓 Per prima cosa, il modo in cui percepiamo il mondo non è oggettivo. Ognuno di noi osserva e legge la realtà indossando “occhiali” costruiti sulla propria esperienza. Una stessa situazione può essere vista in modi  diversi non solo da persone diverse, ma anche da noi stessi nel corso della vita… o della giornata!

👓 Inoltre, il modo in cui vediamo noi stessi e ciò che ci accade nel tempo rafforza alcune nostre convinzioni su chi siamo. Gli psicologi parlano del sé come qualcosa di plurale. Ci sentiamo noi stessi perché una parte di noi è abbastanza stabile nel tempo da permetterci di dire “questo sono io”, ma viviamo sfaccettature diverse di questa identità: siamo figli, lavoratori, partner, proprietari di compagni d’avventura domestici, appassionati lettori…

Siamo, insomma, noi per primi frutto di un incontro di differenze! Riconoscerlo ci permette di incontrare negli altri con più curiosità e apertura.

❗ Per educarci alle differenze, dobbiamo educarci quindi a riconoscere quanto potere hanno gli “occhiali” attraverso cui interpretiamo la realtà. Tendiamo spesso a definire il “diverso” cercando di ridurlo a ciò che ci è noto, familiare, rischiando di ridurre gli altri – ma anche noi stessi! – a ciò che pensiamo di conoscere di loro.

Proviamo ora a comprendere meglio come il nostro pensiero può cadere in alcune trappole di semplificazione e con quali conseguenze.

🔺 Tre “errori cognitivi”: la mente davanti alle differenze

La psicologia sociale parla di bias o errori cognitivi, ovvero scorciatoie di pensiero non efficaci che costruiamo sulla base di giudizi a priori. Ecco tre bias tra i più comuni:

1️⃣ Errore fondamentale di attribuzione: per spiegarci il comportamento altrui, tendiamo a basarci su quelli che percepiamo come tratti individuali, trascurando l’influenza del contesto e di fattori esterni alla persona.

💡 Pensiamo, ad esempio: “Mi ha risposto male perché è una persona maleducata”, ma la persona potrebbe avere avuto semplicemente una brutta giornata.

2️⃣ Effetto di mera esposizione: quando siamo esposti ripetutamente a messaggi o stimoli, tendiamo a trovarli familiari e quindi più piacevoli.
💡Più tempo passiamo con una persona, ad esempio, più tenderemo a trovarla piacevole, bella… anche se inizialmente ci era indifferente. Il solo fatto di essere esposti a questa persona, anche se non la conosciamo approfonditamente, può farcela preferire a qualcuno di meno conosciuto.

3️⃣ Bias di conferma: se abbiamo una convinzione, ci concentriamo sugli elementi che la confermano e ad eliminare o ignorare quelli in contrasto.

💡 Se, per esempio, pensiamo che gli altri siano sempre contro di noi, tenderemo a interpretare i loro comportamenti come aggressivi, minacciosi, oppure indifferenti, non comprensivi...

Seguire queste scorciatoie ci facilita nel dover prendere decisioni e orientarci tutti i giorni nella complessità. Semplificare eccessivamente, però, può portare a trasformare le differenze in stereotipi e pregiudizi, a cercare di costringere in etichette rigide e assolute persone ed esperienze.

 

 

🔑 3 azioni per educarci alle differenze

Per concludere, ecco 3 consigli per non fermarti alla prima impressione e imparare a conoscere e valorizzare le differenze:

🧩 Interrogati: parti da te stesso e incuriosisciti davanti ai tuoi pensieri e comportamenti. Prova a mettere in discussione i modi in cui senti parlare di differenze e i modi con cui ti confronti con esse, magari a partire dagli spunti tratti da questo articolo.

🧩 Informati: prova a consultare piattaforme, articoli e riviste cercando di approcciare il tema da punti di vista differenti. Un paio di consigli da cui potresti partire sono: per approfondire i temi di diversità e inclusione, la piattaforma della no-profit Diversity.  In tema di parità di genere, puoi consultare il sito dell’European Institute for Gender Equality.

🧩 Interessati: abbiamo parlato del modo in cui costruiamo noi stessi e il senso di ciò che ci circonda. Interrogarsi e informarsi sono una buona base di partenza. Cerca anche, oltre a questo, occasioni di incontro con le differenze, specialmente con quelle che ti sono meno familiari. Incontrare storie  concrete, fatte di aneddoti e vite vissute, ti permetterà di metterti in discussione, conoscerle e conoscerti meglio.
Se sei un genitore, ti consigliamo la lettura dell’articolo Razzismo: 3 consigli per insegnare a tuo figlio il rispetto dell’altro scritto dalla dott.ssa Giulia Della Canonica.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è.”

Marcel Proust

 

Articolo a cura di Marta Piria, esperta in psicologia del lavoro e delle organizzazioni.