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Smart working e Covid-19: quando la tecnologia diventa fonte di stress

La recente crisi sanitaria legata al coronavirus ha portato, soprattutto durante la cosiddetta Fase 1, ad un forte incremento del lavoro da remoto, detto anche smart working. Come contrastare lo stress causato dalla tecnologia?

 

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Lavorare da remoto ha rappresentato una risposta chiave che ha permesso a molti di noi di fronteggiare l’emergenza e continuare le nostre attività in una situazione di maggiore sicurezza. In questo modo lo smart working ha salvaguardato la salute nostra e delle nostre aziende.

Se guardiamo l’altra faccia della medaglia, ci rendiamo però conto che, la stessa tecnologia che ci è d’aiuto, può rappresentare anche una potenziale fonte di stress.

Pensiamo infatti a Lucia. Lavorava da dodici anni nella stessa azienda che oramai è una seconda casa con i sui riti quotidiani.

Ogni mattina passa a salutare Anna dell’ufficio accanto prima di cominciare a lavorare, prende il caffè al solito bar, ha sulla sua scrivania il quaderno con le note di lavoro.

Ora tutto questo è stato stravolto. Lucia è in smart working: non solo dovrà rinunciare a quelle abitudini, ma dovrà anche imparare a lavorare in modo diverso.

Troppe cose nuove che vanno imparate e utilizzate subito perché ora sono diventate di colpo indispensabili. Per fortuna c’è Anna, che ormai passa le sue giornate online, e le sta dando una mano con le videochiamate.

Lucia però è stanca, ansiosa e ha costantemente paura di sbagliare ad usare queste nuove tecnologie che le stanno togliendo il sonno. Lucia è stressata o meglio tecnostressata.

Smart working e tecnostress

Con tecnostress intendiamo lo stress dovuto all’utilizzo della tecnologia.

Nello specifico possiamo individuare tre componenti principali che possono manifestarsi da sole o congiuntamente:

  • Techno-anxiety: l’utilizzo di computer o altri strumenti tecnologici (ICT) generano paura, agitazione, apprensione e incertezza.
  • Techno-addiction: legata a doppio filo alla dipendenza dal lavoro chiamata workaholism, si tratta di un’impossibilità di “staccarsi” da strumenti digitali lavorativi rimanendo costantemente connessi e continuando a lavorare anche al di fuori dell’orario lavorativo.
  • Techno-strain: deriva dall’utilizzo di tecnologie nuove e non conosciute dalla persona, crea disorientamento e stress.

Ritorniamo ora al caso di Lucia; possiamo vedere come per lei il tecnostress si sia manifestato sotto forma di techno-anxiety e di techno-strain.

La situazione straordinaria che siamo chiamati a vivere ha costretto inevitabilmente molte persone a confrontarsi con l’uso di tecnologie nuove e poco conosciute che favoriscono l’insorgere di queste problematiche nello smart working.

Ci sono, però, anche persone come Anna che si sono adattate meglio a questa situazione, ma che ora rischiano di cadere nella techno-addiction a causa, ad esempio, della mancanza della sosta alla macchinetta del caffè e del pranzo con i colleghi.

Come contrastare lo stress?

Certamente l’essere consapevoli che un simile pericolo esiste e approfondire il tema è importante. Ma cosa si può fare in pratica per evitare eccesso di stress o effetti di dipendenza in smart working?

TECNOLOGIA POSITIVA

Un aiuto importante può venire dalle aziende: esse infatti possono lavorare per fornire ai propri dipendenti quella che viene chiamata Tecnologia Positiva. Si tratta di strumenti tecnologici con al centro l’esperienza dell’utente, le sue abilità e il suo benessere.

FORMAZIONE

Un’altra possibile leva di supporto è rappresentata dalla formazione all’utilizzo delle nuove tecnologie. Grazie a percorsi formativi mirati è possibile accompagnare le persone e migliorarne le capacità e la sicurezza così da diminuire la techno-anxiety e il techno-strain.

In una situazione anomala come quella che stiamo vivendo poi è possibile che la formazione non sia stata effettuata tempestivamente. C’è sempre tempo però per recuperare, come nel caso di Lucia che, attraverso la formazione, può ricevere un valido supporto per affrontare questo momento di cambiamento.

RISPETTO DI REGOLE CONDIVISE

Un ultimo passaggio molto importante, soprattutto per contrastare la techno-addiction, è la creazione e il rispetto di regole condivise  in azienda riguardo al come e al quando utilizzare gli strumenti tecnologici al lavoro.

Un semplice ma efficace punto di partenza può essere quello di rivedere le abitudini di comunicazione: ad esempio, evitare di inviare mail dopo una certa ora o la domenica.

Queste regole sono valide tanto in questo periodo di emergenza quanto più in generale. È importante infatti stabilire delle regole di gestione dello smartworking in modo da ri-assumere il controllo della nostra vita lavorativa e professionale e mettere a punto un modo di lavorare nuovo e sostenibile per i prossimi anni.

 

Articolo a cura di Claudio Reina, esperto in psicologia del lavoro

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Razzismo: 3 consigli per insegnare a tuo figlio il rispetto dell’altro

L’incontro tra culture differenti porta spesso a confrontarsi con il tema del razzismo.
Ecco come i genitori possono educare i bambini a non cadere nella trappola del pregiudizio.

 

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Era il 25 maggio 2020 e sulle maggiori piattaforme digitali non si leggeva altro. George Perry Floyd, un uomo afroamericano di appena 46 anni, è morto a Minneapolis, in Minnesota, ucciso da un poliziotto.

Il filmato in cui l’agente di polizia preme il ginocchio sul collo dell’uomo ha fatto il giro del mondo e molte manifestazioni di protesta nei confronti di razzismo e abuso di potere sono state ispirate da questo evento.

Molti di voi potrebbero pensare: cosa c’entra questo con i miei figli?

I bambini, come riportato anche da un recente articolo di National Geographic, ascoltano le nostre conversazioni, vedono le immagini alla tv e iniziano a farsi delle domande: “Mamma, perché quel bambino ha la pelle nera e la nostra è bianca?”, “Papà, perché hanno fatto male a quell’uomo?”.

Il razzismo era ed è un problema che ci riguarda da vicino. Il razzismo agisce nel silenzio, per questo è importante non “girarsi dall’altra parte” ma rispondere a queste domande dei nostri figli apertamente.

Come nasce il razzismo?

“Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio.”

Nelson Mandela

 

Il razzismo nasce dall’idea che esistano “razze” superiori ad altre. Questo pensiero è spesso accompagnato da numerosi pregiudizi, cioè da credenze e punti di vista che possono portarci a giudicare gruppi e persone prima di conoscerli o in assenza di informazioni sufficienti.

Secondo il grande psicologo sociale Gordon Allport, all’origine del pregiudizio ci sono due processi:

    • La categorizzazione: dividere il mondo sociale in categorie per semplificare la realtà.
      Es. Clara fa la maestra d’asilo ➡ le maestre d’asilo sono solitamente dolci e gentili anche Clara deve essere dolce e gentile.
    • La generalizzazione: estendere un aspetto osservato ad una intera categoria.
      Es. un extracomunitario ha commesso un furto ➡ tutti gli extracomunitari sono ladri.

Come possiamo insegnare ai bambini a non cadere nella trappola del razzismo?

   1. Stimolare l’empatia

Per prima cosa, è importante insegnare al bambino fin dalla più tenera età a sviluppare un atteggiamento empatico. L’empatia è la capacità di immedesimarsi nello stato d’animo di un’altra persona.

Secondo Carl Rogers, padre della psicologia umanistica, è proprio l’empatia, insieme all’atteggiamento non giudicante e all’accettazione incondizionata, a permettere di comprendere profondamente l’altro, il suo modo di vivere e vedere il mondo.

Un bambino in grado di “mettersi nei panni degli altri” sarà un adulto in grado di costruire delle buone relazioni. Inoltre, saper cogliere la gioia, la tristezza, la rabbia dell’altro ci permette di riconoscerci e rispecchiarci.

Le emozioni sono infatti universali, come provato da numerose ricerche tra cui quelle di Paul Ekman, autore della teoria neuroculturale. Indipendentemente dal colore della pelle, dalle ideologie, dalle opinioni politiche e religiose, le emozioni ci ricordano di essere umani di fronte ad altri esseri umani.

 2. Viaggiare per valorizzare le differenze

Viaggiare rende più aperti alle novità, stimola la curiosità e permette di entrare in contatto con le differenze.

Visitare luoghi, conoscere persone, scoprire tradizioni e costumi è un passo fondamentale per combattere il pregiudizio e imparare a valorizzare le differenze!

Non parliamo solo di viaggi fisici: possiamo esplorare il mondo incontrando persone, storie e culture a scuola, durante attività di gioco e svago, facendo sport, leggendo, guardando film e documentari… Accompagnare i bambini in queste esperienze significa farli avvicinare a modi nuovi e diversi di vivere, sentire, pensare.

 3. Educare al pensiero critico

I vostri bambini cresceranno presto e leggeranno molte cose sui social network e sul web, purtroppo anche a sfondo razziale.

Per questo motivo è importante che fin da ora si accompagnino i bambini ad analizzare le notizie. In questo modo, i vostri figli impareranno a fare valutazioni, a ragionare scegliendo quali informazioni ritenere valide e quali no.

Aiutateli a costruire un proprio pensiero su quanto succede intorno a loro, evitando di usare categorie rigide e “preconfezionate”.

 

Articolo a cura di Giulia Della Canonica, psicologa